“Non c’è giorno che io non pensi a quegli attimi che, pur non volendo, hanno cambiato per sempre le nostre vite”. Crocefisso Martina oggi ha 69 anni e da poco più di tre anni è detenuto nel carcere di Matera. È stato condannato in via definitiva a 14 anni di reclusione per l’omicidio di Marco Tedesco 28enne di Brindisi: il fine pena era fissato al 2036, ma poco tempo fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha concesso la grazia parziale cancellando sei anni di reclusione e così, Crocefisso, anche grazie alle riduzioni per buona condotta ottenute in questi primi anni da carcerato, tornerà in libertà nel 2026.

Tutto comincia nella notte del 23 gennaio 2007. Un gruppo di ladri fa irruzione in una stazione di servizio nei pressi di Trepuzzi, nel leccese: in quattro con il volto coperto da passamontagna, si introducono nel locale e lo saccheggiano. Il primo ad arrivare è proprio lui, Crocefisso Martina: secondo quanto ha sempre sostenuto, scende dall’auto, intima l’alt senza successo e, accortosi che i rapinatori erano armati, spara alcuni colpi di pistola. Il frammento di uno dei proiettili esplosi dal vigilante, rimbalza su un’auto e raggiunge il collo di Tedesco, uno dei quattro rapinatori, uccidendolo. A complicare le cose si aggiunge il fatto che l’arma che Martina sostiene di aver visto, non viene mai ritrovata dagli investigatori.

Martina viene accusato prima di eccesso colposo di legittima difesa, poi di omicidio colposo e infine di omicidio volontario. Dopo diversi gradi di giudizio viene condannato a 14 anni di reclusione: le porte del carcere si aprono a giugno 2019. Il suo è un comportamento esemplare dentro le mura della struttura carceraria: le commissioni lo premiano riducendo di quasi un anno la detenzione. Qualche anno dopo l’avvio della detenzione, decide che, anche se si considera innocente, è il momento di chiedere perdono: scrive alla famiglia di Marco Tedesco una lunga accorata lettera. “Chiedo perdono perché ho distrutto due famiglie. Ho cancellato sogni e speranze. Ve lo chiedo in piena umiltà e con la consapevolezza che nulla potrà cambiare: il mio non è un gesto ma è un vero e proprio atto di piena Misericordia”.

Poco dopo sono la figlia Jenny e il suo avvocato Maria Terrusi a scrivere un’altra lettera: è una richiesta di grazia al Presidente della Repubblica. La figlia racconta il vissuto di quel papà che pur avendo attraversato momenti difficili, non ha mai abbandonato la via della legalità. Gli anni da emigrato in Germania e poi il ritorno in Italia: “Questo significò per mio padre rinunciare al suo lavoro stabile in Germania per stare vicino alla sua famiglia di origine. Fu un periodo difficile, mio padre era disoccupato, sporadicamente trovava qualche lavoretto che, sebbene modesto, era importante per il sostentamento della sua famiglia”. Grazie ad alcuni amici di famiglia arriva l’occasione di essere assunto nell’istituto di vigilanza. Per 15 anni la vita scorre tranquilla, fino a quella notte di gennaio. L’avvocato Terrusi, nella missiva, spiega come la storia di Martina non sia diversa da quelle Ambrogio Crespi e Francesca Pacilli che, nel 2021, hanno ottenuto la grazia parziale sulla base della “irreprensibilità della condotta” mostrata tra il giorno dell’omicidio in poi. Insieme a loro, solo altre 5 persone otterranno il perdono parziale dal Capo dello stato. La grazia per Martina è arrivata invece l’anno successivo. “Vorrei ringraziare il Presidente Mattarella – ha commentato l’avvocato Terrusi – per aver concesso la grazia parziale a quest’uomo: il suo è stato un atto che ha restituito alla giustizia l’immagine non di un volto cieco, ma di un volto umano”.

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