di Matteo Bortolon*

“Dovete considerare che molto dell‘aggiustamento fiscale che l’Italia ha intrapreso continuerà con il pilota automatico”. Così rispondeva Mario Draghi, allora a capo della Bce, nella conferenza stampa del 7 marzo 2013 alla domanda se il risultato delle elezioni in Italia – da poco avvenute, il precedente 24-25 febbraio – avrebbe posto un problema in merito alla “disciplina fiscale”, dato che il risultato aveva favorito i partiti che la avversavano. L’allora governatore, infatti, aveva asserito la necessità di ridurre la spesa pubblica per ridurre il deficit di bilancio. Cioè fare austerità, i cui frutti avvelenati si sarebbero visti nei paesi meno abbienti, come appunto l’Italia al termine del decennio, con la sanità devastata dai tagli.

L’inquietante figura del “pilota automatico” torna in mente in merito alle insistenti notizie di stampa (anche vicine alla attuale maggioranza) che danno per scontata l’approvazione da parte della maggioranza che sostiene il governo Meloni della riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità. Riforma che Lega e FdI avevano fortemente avversato, fino al punto di raccogliere firme in piazza contro di essa, con lo slogan “No Mes. Firmiamo contro l’ammazza-stati”. Se le destre faranno questa marcia indietro sarà curioso vedere come si giustificheranno dinnanzi ai loro elettori. Ma non si tratta solo della incoerenza di una parte politica; tutto il cammino della Ue è costellata di forzature e pressioni dall’alto per dirigere le cose verso la direzione voluta. Il pilota automatico sembra sempre in funzione.

Prendiamo i referendum in merito all’adesione, al processo di integrazione e ai trattati che via via sono stati modificati. Quattro Stati hanno indetto una consultazione su Maastricht: Italia (consultivo), Irlanda, Francia, Danimarca. I danesi votano contro. Che si fa? Si rivota l’anno successivo assicurando che per Copenaghen sarà meno vincolante. Vince il sì e si va avanti. Nel 1998 due paesi votano sul Trattato di Amsterdam. Si vota favorevolmente – gli altri governi non hanno ritenuto di indire consultazioni – e il trattato passa. Si va avanti. Sul successivo Trattato di Nizza si vota in un solo paese, l’Irlanda. Purtroppo vince il no (7 giugno 2001). Che si fa? Si rivota l’anno dopo con una modifica minimale e allora vince il sì. Qualche anno più tardi arriva il “Trattato costituzionale europeo”. Si vota in quattro paesi e in Olanda e Francia vince il no – dopo una campagna referendaria molto partecipata dai francesi. Risultato? Nel 2007 arriva il Trattato di Lisbona in cui “redatto esclusivamente sulla base del progetto di Trattato costituzionale, gli strumenti sono esattamente gli stessi. Solo l’ordine è stato modificato”, come notava l’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing su Le Monde il 26 ottobre 2007. Insomma stessa sostanza.

Ma le cose non dovevano andare così lisce: i soliti irlandesi – gli unici chiamati a pronunciarsi sul Trattato di Lisbona – votano no. Risultato? L’anno successivo si rivota! In forza delle assicurazioni di parziale non-applicazione sul paese. Ovviamente vince il sì. Va detto che non si tratta di roba di poco conto: i poteri assegnati alle istituzioni comunitarie sono giganteschi. Ineriscono la politica di bilancio, commerciale, di regolazione, orientamenti economici: l’assenza sfida la nozione stessa di sovranità che, si ricordi, la Costituzione conferisce al popolo congiungendola inestricabilmente con quella di democrazia. Ciò significa che le limitazioni di sovranità concesse dall’articolo 11 dovrebbero avvenire con grande cautela e circospezione per vagliarne la compatibilità con un quadro di democrazia sostanziale, senza essere sbrigativamente appioppate come un biglietto di sola andata verso sistemi di potere schiettamente oligarchici.

Da ambienti di governo si fa sapere che per il Mes non c’è fretta. Vogliono guadagnare tempo (in vista delle regionali magari)? Meloni vuole usare la ratifica come merce di scambio per ottenere modifiche al Pnrr? Al momento non lo sappiamo. L’approvazione dell’Italia tuttavia è necessaria per fare andare in porto la riforma – in merito alla quale l’economista conservatore Giampaolo Galli, vicino a Cottarelli, parlò di una eventualità di “colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori” (sic!). E nel caso di approvazioni di questo genere il pressing somiglia molto al famoso “pilota automatico”, quasi dicesse, forte di un potere destinale: “Vuolsi così colà dove si puote/ciò che si vuole e più non dimandare”.

*attivista di Stop Ttip e fra i fondatori del Comitato per l’Abolizione dei Debiti Illegittimi (Cadtm Italia)

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