Quando Eike Schmidt nel 2015 è stato nominato direttore del museo degli Uffizi il prezzo del biglietto di ingresso era di 8 euro. Ora, dal primo marzo 2023 il prezzo del biglietto sarà di 25 euro. Nel giro di otto anni quindi il costo d’ingresso al museo più amato dagli italiani è salito del 212%. Il direttore del museo degli Uffizi passerà alla storia come colui che ha ampiamente battuto l’inflazione. Un record poco invidiabile peraltro. Scelta gestionale oculata o scelta manageriale sbagliata in odore di liberismo applicato alla fruizione del mondo dell’arte? Vediamo.

Un primo aumento ci fu un anno prima della scadenza del suo mandato, e cioè nel 2018. Venne introdotto il prezzo stagionale. Cioè il prezzo venne portato a 20 euro nel periodo di alta stagione, da marzo ad ottobre (aumento del 150%), e per la parte rimanente dell’anno a 9 euro. Che cosa ha spinto Schmidt a questa scelta? La destagionalizzazione. L’dea di fondo è che un museo sia come una casa in affitto per le vacanze estive. Perché gli affitti al mare sono cari ad agosto e molto bassi ad ottobre? È la stagionalità che deriva dalle variazioni della domanda. In genere, si va in vacanza quando c’è la bella stagione e per questo i prezzi sono elevati. Schmidt ha applicato lo stesso criterio di marketing al museo degli Uffizi, aumentando i prezzi nella bella stagione a danno naturalmente dei turisti estivi che evidentemente il museo e Firenze non gradiscono.

Tuttavia, poiché la domanda di fruizione museale per gli Uffizi è molto rigida, di fatto gli Uffizi sono una impresa monopolistica, il risultato è stato un boom di incassi che sono passati in un anno da 22 milioni di euro a 34 milioni di euro. Incassi che secondo il direttore sono stati utilizzati per ampliare l’offerta scientifica e culturale del museo.

Ora Schmidt torna alla carica con delle motivazioni all’apparenza differenti. Stavolta è il caro energia ad essere chiamato in causa, ma alla base c’è ancora l’insofferenza nei confronti dei turisti mordi e fuggi, quelli giornalieri. Come dichiara, con una punta di soddisfazione Patrizia Asproni, presedente della Fondazione Industria e Cultura, l’aumento non avrà alcun affetto sul turismo di pregio: “L’aumento è previsto in alta stagione e andrà a impattare non certo sul turismo stanziale, ma quello più veloce che arriva e se ne va in poco tempo”. Insomma, il business è salvo.

Chi è benestante non sarà toccato dall’aumento, questo per definizione di persona benestante credo, mentre spariranno i fastidiosi e chiassosi turisti di giornata. Chi va agli Uffizi deve essere preferibilmente un turista straniero, magari non più giovane, colto, stanziale, benestante, espressione di un turismo raffinato e di lusso. Tutti gli altri possono stare a guardare. La mission, come dicono gli aziendalisti, degli Uffizi non è più quella pubblica e tradizionale di produrre e diffondere cultura ma quella privata di estrarre una rendita dai turisti ricchi, quanto più alta possibile, naturalmente secondo un criterio di decenza. Questo grazie alla visione aziendalistica del direttore Eike Schmidt.

Che sia questa la nuova politica culturale di tipo ultraliberista per i grandi musei italiani, più profitti e meno fruitori giornalieri? Una risposta viene dal ministro della Cultura che ha approvato pienamente questa scelta. La sua valutazione è disarmante: “Penso che l’aumento risponda anche a una questione per così dire ‘morale’: per una famiglia americana che spende 10-20 mila euro per venire in Italia, pagare venti euro un biglietto è una cosa che si può fare.” In sostanza, per il ministro, i musei italiani sono un territorio di caccia riservato ai ricchi turisti stranieri, preferibilmente americani. Gli italiani, con buona pace del nazionalismo della Meloni, semplicemente non sono graditi. Questa è la morale museale della destra italiana secondo il ministro dei Fratelli d’Italia: nei grandi musei c’è posto solo per i ricchi.

Naturalmente la domanda di fondo qui è se il museo sia un bene privato oppure un bene pubblico. Se è un bene pubblico perché produce cultura per tutti, visione che anch’io sottoscrivo, i prezzi dei biglietti devono essere calmierati, e non solo quello della benzina. Questo è il compito della politica: finanziare dignitosamente i musei e non contare sui ricchi turisti stranieri evocati dal ministro Gennaro Sangiuliano. Comunque un fatto è certo.

Nessuno dei grandi musei internazionali si finanzia con la bigliettazione, che arriva al massimo al 30% dei ricavi. Le risorse principali arrivano dal settore pubblico o dai privati. Un buon direttore di museo dovrebbe darsi da fare per sollecitare finanziamenti pubblici o privati. Questo è il suo compito principale dal punto di vista gestionale. Aumentare il prezzo è una scorciatoia troppo facile, oltre che sbagliata ed iniqua. Per questo ho forti dubbi che l’attuale gestione economica, non mi pronuncio sul resto, degli Uffizi sia da elogiare.

L’aumento del prezzo del biglietto è l’ultima, quasi disperata, scelta che un direttore di un museo pubblico dovrebbe fare e non dovrebbe essere presentata come un modello di marketing di successo, riservato al solito pubblico dalle tasche gonfie. Anche perché, se tutti i musei normali seguissero l’esempio di Schmidt, raddoppiare il costo del biglietto in pochi anni, i risultati sarebbero, credo, disastrosi anche sul piano economico, oltre che su quello culturale.

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