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Il primo contatto con gli alieni potrebbe richiedere più tempo del previsto: ecco perché e cosa c’entra il “paradosso di Fermi”

La prima trasmissione volontaria ad alta potenza verso forme aliene risale al 1974. Si tratta del messaggio radio trasmesso nello spazio dal radiotelescopio portoricano di Arecibo,  indirizzato verso l’ammasso globulare di Ercole (M13) a 25mila anni luce di distanza

di Davide Turrini

Il primo contatto con forme di vita da altri pianeti? Potrebbe richiedere più tempo del previsto. Secondo uno studio redatto dal professor Amri Wandel, un astrofisico dell’università ebraica di Gerusalemme, il celebre – e mai confermato – paradosso di Fermi può essere finalmente aggiornato. L’articolo pubblicato in prestampa sul sito arXiv non si basa su nuove scoperte, ma è piuttosto un’attenta analisi delle dimensioni e della scala dell’universo come lo intendiamo oggi, delle probabilità dell’esistenza di vita su altri mondi, e nel caso queste forme di vita sappiano che siamo qui quale interesse mostrerebbero per noi. Andiamo però con ordine. Perché nessuno sa per certo cosa disse o non disse il fisico premio Nobel Enrico Fermi a pranzo con i colleghi nella mensa del Los Alamos National Laboratory del New Mexico in un caldo giorno del 1950. Leggenda vuole che Fermi nello speculare filosoficamente attorno all’enorme numero di stelle nel cielo e all’enorme numero di civiltà intelligenti che i pianeti in orbita attorno a loro potrebbero ospitare si chiese: “Dove sono tutti?”. O meglio: perché non abbiamo mai visto o sentito alcun loro segno?

Il “paradosso di Fermi” ha tormentato a lungo astronomi e scienziati che studiano l’esobiologia, ovvero l’esplorazione della possibilità di altre vite nell’universo. Utilizzando alcuni numeri di base che l’astrofisica ha registrato nel tempo (i circa 400 miliardi di stelle nella Via Lattea, i circa due trilioni di galassie nell’universo) Wandel ipotizza che vi siano trilioni e trilioni di mondi su cui la vita avrebbe potuto almeno in teoria prendere piede, anche se ad oggi il SETI (Search for extraterrestrial intelligence institute) di Mountain Valley in California ha sempre registrato quello che gli scienziati del settore definiscono il “Grande Silenzio”. A questo punto entrano in gioco i segnali radio che dalla Terra vengono inviati nello Spazio. Come spiega il Time, nell’articolo a corredo del documento del professor Wendel, ricordando che “è passato solo circa un secolo da quando abbiamo iniziato a emettere quei segnali involontari” e che “la nostra cosiddetta bolla radio, che scorre in tutte le direzioni – nord e sud, est e ovest – misura quindi solo 200 anni luce di diametro ed è un puntino volante in una galassia: “Se una civiltà avesse già ricevuto il nostro segnale e inviato una risposta, dovrebbe trovarsi a soli 50 anni luce di distanza poiché, il nostro radiofaro impiegherebbe 50 anni, viaggiando alla velocità della luce, per averlo raggiunto, e altri 50 anni perché il destinatario abbia rispedito un messaggio. È un secolo enorme solo per un saluto reciproco. Non che non ci siano candidati all’interno di quella piccola impronta nello spazio. Secondo Wandel, ci sono circa 2.000 stelle, che ospitano chissà quanti pianeti, entro 50 anni luce dalla Terra”. A questo punto la questione del “contatto” tra terrestri e altre forme di vita prende la curvatura dello scarso avanzamento tecnologico proprio dei segnali che trasmettiamo nello spazio.

Utilizzando l’altrettanto celebre equazione di Drake tra i circa 2000 pianeti che si trovano a 50 anni luce dalla Terra le stime realizzate da Wandel vogliono che il numero di mondi che ospitano forme di vita intelligenti esistenti sia tra zero e pochi. Morale della favola per la cosiddetta “era del contatto”, il tempo in cui potremmo aspettarci di avere uno scambio bidirezionale con forme di vita aliene, potrebbe essere molto, molto più lunga di quella ipotizzata in passato. “Anche supponendo che ci siano un milione di civiltà intelligenti sparse per la galassia (un numero grande che sembra molto più piccolo se si prende in considerazione il numero di pianeti che circondano i 400 miliardi di stelle della Via Lattea), Wandel pone l’inizio dell’era del contatto a 400 anni da ora come minimo”, scrive il Time. “Esiste del resto la possibilità che altre civiltà possano far trapelare segnali radio proprio come noi, e che possiamo rilevarli prima che loro rilevino noi”, conclude la rivista statunitense commentando lo studio di Wandel. Insomma se dal Grande Silenzio avessimo l’ambizione di tentare di stimolare un Grande Ciao sarebbe meglio cominciare ad inviare altri messaggi con nuove e più performative tecnologie oltre la Terra. Infatti la prima trasmissione volontaria ad alta potenza verso forme aliene risale al 1974. Si tratta del messaggio radio trasmesso nello spazio dal radiotelescopio portoricano di Arecibo, indirizzato verso l’ammasso globulare di Ercole (M13) a 25mila anni luce, appunto, di distanza. Il messaggio venne composto da 1679 cifre binarie e informazioni riguardanti numeri atomici di elementi come l’idrogeno e l’ossigeno, formule e rappresentazione grafiche del DNA e del sistema solare, nonché numero della popolazione della Terra dell’epoca.

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