Eh sì, è proprio “strategica” Ita Airways! Va mantenuta saldamente in mani italiane visto che, da e per il Belpaese, ha una quota irrisoria di mercato del 4%. Per questo, sotto Natale, il governo ha varato il nuovo decreto che regolerà, per l’ennesima volta, il dossier di Ita Airways. Si poggia sulla parola d’ordine: per la “sovranità nazionale”. In poche parole la maggioranza delle azioni pubbliche è blindata, quindi il controllo sulle scelte “strategiche, a Lufthansa il ruolo di partner industriale di minoranza anche con aumenti di capitale.

Si continuano a bruciare risorse pubbliche, entro marzo altri 250 milioni di euro, visto che l’aviolinea perde oltre 1,5 milioni al giorno. Del resto i costi sono nettamente superiori ai ricavi. Per Ita un volo di mille km costa 80 euro a passeggero, ricavandone 67, la differenza negativa è di 13 euro. Lufthansa, sulla stessa distanza di volo, non solo ha un costo di produzione inferiore di 73 euro contro 80 (meno 7 euro), ma ricava 87 euro a passeggero con un margine positivo di 13 euro. Nonostante tutto ciò, ad ogni ciclo di ristrutturazione (?) di Ita, e prima di Alitalia, non mancavano bonus per amministratori e presidenti e tanti ricchi prepensionamenti.

Nel marzo del 2020, dalle ceneri di Alitalia nasce il suo clone Ita Airways. E’ dal lontano 2007 che la compagnia di bandiera è in crisi e viene ristrutturata. Senza mai però approdare a un suo definitivo rilancio. La prima rovinosa pagina di questi cicli è rappresentata, nel 2008, dalla privatizzazione con doppia rete di protezione pubblica dei capitani coraggiosi, chiamati da Silvio Berlusconi e guidati da Roberto Colaninno e Corrado Passera.

La privatizzazione ha lasciato sulle spalle della collettività più di 3 miliardi di oneri. Il fallimento portò alla prima amministrazione straordinaria di Alitalia Cai che arrivò al capolinea, con oltre 1,5 miliardi di nuove perdite accumulate fino al 2013. Un disastro. Poi ci fu la Joint Venture con Ehtiad presentata da Matteo Renzi come una meraviglia italiana, che consentì un altro saccheggio ai danni dello Stato. In questo caso furono i ricchi arabi a spolparla.

Bruciati dal 2007 ben 12 miliardi di denaro pubblico tra aiuti di Stato e ricapitalizzazioni, che hanno consentito a migliaia di addetti di accedere ad ammortizzatori sociali speciali per durata (anche 7 anni). Ricco però per l’assegno di lusso percepito. Tutto rigorosamente approvato dal parlamento in decreti omnibus. Cambiano i governi, ma l’annunciata nuova vendita di Ita sta diventando una costosa comica dove tutto accade, tranne una seria privatizzazione. Entro giugno 2022 tutto sarà finito, dicevano a Palazzo Chigi.

Nonostante il 3 marzo dello scorso anno Lufthansa fosse pronta a entrare nel capitale Ita con l’80% delle azioni, si è continuato a traccheggiare. Governo e sindacati uniti nella lotta: non vendere. Si cementano sempre le intese corporative tra i manager pubblici e sindacati. Dopo quasi un anno di finte trattative, si è bruciato l’interesse di Msc, una delle maggiori compagnie crocieristiche del mondo.

Nel luglio scorso, l’offerta di Certares Management, Delta Airlines e Air France-Klm (600 milioni) era stata ritenuta maggiormente rispondente agli obiettivi fissati dal ministero del Tesoro. Anche quella si è persa nella palude romana. Nel gioco costoso dell’oca ora Lufthansa ripropone le sue condizioni d’ingresso, visto che ha capito che lo Stato italiano non intende scendere sotto il 50% delle azioni e quindi perdere il controllo della memorabile pastoia che ha visto arricchirsi manager, consulenti, fornitori di servizi e il consenso dei partiti, sia di governo che di opposizione.

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