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Botte e insulti al figlio perché omosessuale: il tribunale condanna i genitori di un 15enne

Non è stata concessa nessuna attenuante generica, né la sospensione condizionale della pena: due anni di carcere per il padre e uno per la madre per lesioni personali con "fini di discriminazione". Il giudice del Tribunale di Milano: "Sono venuti meno ai loro doveri educativi"
Botte e insulti al figlio perché omosessuale: il tribunale condanna i genitori di un 15enne
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Tenere segreta la sua vera identità lo stava avvelenando. A scuola veniva perseguitato dai bulli, senza che ci fosse alcun amico a difenderlo. A casa aveva troppa paura per parlare. Alla fine, dopo numerosi atti di autolesionismo, decide di rivelare ai genitori la propria omosessualità. Solo che questo 15enne di origine egiziana dalla sua famiglia non ha trovato appoggio o comprensione, ma solo botte e offese. Ora il Tribunale di Milano li ha condannati: il padre per lesioni personali e la madre per omissione di soccorso e concorso omissivo nelle lesioni. Per entrambi c’è l’aggravante di aver agito con “fini di discriminazione” per motivi di orientamento sessuale o di identità di genere.

Il giudice Luca Milani, si legge su Il Corriere della Sera, ha accolto la richiesta del pm Antonio Cristillo: “È fondata la contestazione dell’aggravante della discriminazione legata all’orientamento sessuale”, ha convenuto Milani, perché “l’aggressione perpetrata dal padre è stata ispirata da sentimenti di odio verso le scelte di genere del minore”. La madre, secondo il giudice, dalla sua “posizione di garanzia”, aveva l’obbligo giuridico di impedire le lesioni al figlio minorenne. Ma “nulla ha fatto per evitare che il figlio fosse picchiato, anzi, ha omesso anche di prestargli le cure necessarie”, ha continuato il Tribunale. Non è stata concessa nessuna attenuante generica, né la sospensione condizionale della pena: due anni di carcere per il padre e uno per la madre. “Sono venuti meno ai loro doveri educativi“, ha dichiarato il giudice.

La rabbia del padre è scattata dopo un messaggio del 15enne: l’adolescente, dopo aver creato un gruppo WhatsApp in cui ha inserito anche i suoi genitori, ha condiviso un filmato su un ragazzo arabo omosessuale, sotto il quale ha scritto: “Anche io sono gay”. Una volta tornato a casa, prima ha subito i rimproveri e le offese della madre, poi le botte del padre. Al dolore provocato dagli schiaffi e dai calci in faccia si sommano le ferite provocate dalle parole: “Vuoi sposarti con un uomo?”, chiede con rabbia il padre, “allora tirati giù i pantaloni“.

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