Moda e Stile

Santo Versace a FQMagazine: “Dopo la morte di Gianni per anni sono andato a dormire nel suo letto, volevo recuperarlo. La mia esperienza politica? Deludente”

Il fratello dello stilista scomparso a Miami nel 1997 è l’autore di un memoir intimo in cui ripercorre gli alti e i bassi di un’epoca ormai conclusa 

di Domenico Marcella

Quella di Santo Versace è una storia ricca di passioni impossibili da reprimere e di sogni che non sono mai stati componente secondaria. A venticinque anni dalla tragica morte del fratello Gianni, Santo esordisce in libreria. Un’autobiografia, sì, ma anche una sorta di processo catartico. In Fratelli. Una famiglia italiana, edito da Rizzoli, Santo Versace racconta a cuore aperto ogni fase del proprio vissuto: dal rapporto con la famiglia alle esperienze di lavoro – bancario prima e commercialista poi – fino al trasferimento a Milano dove ha fondato e portato al successo internazionale la Gianni Versace, una delle più importanti realtà imprenditoriali della moda. Con voce rassicurante, inizia il suo racconto per FQMagazine: “Gianni si è formato assorbendo lo spirito creativo di nostra madre Francesca, che tagliava e cuciva con un occhio sempre rivolto al futuro; io, invece, sulle orme di nostro padre Antonino, ho manifestato da subito una certa inclinazione per il commercio e gli affari”.

Una storia nata da un bel combinato di elementi, dunque.
Be’ sì. Siamo stati molto fortunati, abbiamo avuto due genitori che ci hanno plasmato al meglio con i loro preziosi insegnamenti.

Santo, lei guarda inevitabilmente al passato con occhi lucidi, narrandolo con voce un po’ spezzata.
Succede, sì. Lo faccio con infinita tenerezza. Sarà per l’età o per il pensiero nostalgico per chi non c’è più; ma il ricordo dell’infanzia e della luce sullo stretto che illumina la mia Reggio Calabria è una bellissima scatola di ricordi.

A un certo punto, però, la famiglia Versace si è dovuta piegare davanti a una prima disgrazia.
Sì, la morte di Fortunata – detta Tinuccia – la sorella maggiore. Io avevo nove anni, Gianni sette. Quella tragedia ha sconvolto i nostri genitori e traumatizzato noi fratelli. Mamma e papà hanno messo in atto un prodigioso meccanismo di resilienza per reagire alla scomparsa della loro primogenita. Un paio di anni dopo, però, è arrivata come una benedizione Donatella: una bambina magica – immediatamente amata e coccolata – che ha riportato il sorriso sul volto di tutti.

Scrivere un memoir è come salire sulle montagne russe: alti e bassi, gioie e dolori. Non sarà stato facile, suppongo…
Non lo è stato per niente. Mettere nero su bianco la propria esistenza è un’operazione che scava dentro, facendoti rivivere una carrellata di eventi. Non è stata una passeggiata, ma ci sono riuscito grazie al supporto di mia moglie Francesca De Stefano, che mi ha salvato da tutte le pesanti zavorre che mi portavo addosso, spronandomi perciò al racconto. Questo libro è un atto d’amore nei confronti di Gianni e di tutta la famiglia, ma anche la dimostrazione di quanto sia terapeutico l’amore.

Il libro ruota intorno a Gianni: il monarca della moda che ha originato la cultura della celebrità nobilitando rockstar e gente comune, trasformando addirittura una principessa emotivamente confusa in una fiera icona pop.
Gianni ha rivoluzionato il mondo della moda e quello della comunicazione; ha svelato il corpo dello star system e creato il mito delle top model. Era un sognatore fortemente motivato a trasformare ogni fantasia in un fatti concreti. Ha permesso, inoltre, alle donne e agli uomini di essere liberi, di vivere da protagonisti, di raggiungere la fama. È stata questa la base del nostro grande successo. Pensiamo a Diana Spencer, divenuta grazie a lui un’icona mondiale, e a personaggi come Elizabeth Hurley che ha ottenuto la fama dopo il passaggio su un red carpet.

Ci racconti com’è andata?
Alla première del film Quattro matrimoni e un funerale, interpretato dal suo allora fidanzato Hugh Grant, Elizabeth ha indossato un abito nero con grosse spille da balia dorate, con il logo della Medusa inciso ai bordi. È stato un successo: Hurley è diventata famosa nell’arco di una sera, e noi abbiamo ottenuto una valanga di pubblicità. Gianni è stato un mito, e Donatella oggi sta prolungando egregiamente la sua storia interrotta troppo presto.

Lei ha affiancato Gianni fino alla fine.
Mi resterà in eterno negli occhi e nel cuore il finale dell’ultima sfilata a Parigi. È stata straordinaria. Più Versace che mai. Le modelle erano drappeggiate in maglia metallica. Gianni, vestito di nero, apparso per pochi istanti, ha baciato le ragazze e salutato il pubblico. Prima di ripartire ci siamo abbracciati in maniera ancora più forte del solito. O forse sono io che lo ricordo così. Un ultimo e indimenticabile abbraccio.

Chi si è divertito a osare di più, fra lei e Gianni?
Non saprei. Ognuno aveva la sua sana dose di pazzia (ride, ndr). Abbiamo fatto entrambi delle cose strepitose. L’acquisto delle case, per esempio, o quello delle tante opere d’arte. Gianni a volte era timoroso, mi chiedeva se ero sicuro di quel che stavo facendo. E io lo rassicuravo. Ogni passo è stato il frutto di una solida sicurezza. Avevamo fiducia reciproca, lui in me e io in lui. Eravamo complementari, due facce della stessa medaglia.

Ha seguito gli aspetti organizzativi, commerciali e finanziari della Gianni Versace dal 1972.
E pensi che nel 1997 – in netto anticipo sulle strategie che qualche anno più tardi avrebbero riplasmato il settore – avevamo raggiunto un accordo per la fusione tra Gucci e Versace. Stava per nascere il primo polo italiano della moda, una grande integrazione industriale, con marchi separati ma complementari. Poi, però, il 15 luglio del 1997, con la morte di Gianni, tutto si è fermato sui tre scalini della casa di Miami.

La scomparsa di Gianni ha sbriciolato tutto. Nel libro illustra il momento in cui, con Donatella, avete appreso la notizia a Roma, della partenza per Miami dall’aeroporto di Ciampino, del dolore condiviso con il mondo intero, di tutta la sofferenza vissuta dopo. Comprese le fughe a Villa Fontanelle a Moltrasio, sul lago di Como, per poter dormire nel letto di Gianni.
L’ho fatto per quattro anni. Quando non lavoravo, nei weekend, andavo al Lago di Como e dormivo nel letto di Gianni. Era come se cercassi di recuperarlo, di riprenderlo. Non ero più io. Ripensavo alle nostre conversazioni, ai litigi inutili, al tempo perduto in sciocchezze e a quello che avremmo ancora potuto fare insieme. Ho perso Gianni in maniera violenta. La crisi è stata lunga. L’elaborazione del lutto ha avuto momenti bui. Nei venticinque anni trascorsi da quel giorno, in tanti mi hanno domandato, e ancora mi domandano, che cosa più mi manca di lui.

A questo punto, glielo chiedo anche io.
Mi mancano la sua genialità, il suo sorriso, il suo estro, ma soprattutto il suo affetto. Il tempo guaritore mi ha aiutato a metabolizzare la sua scomparsa e oggi, nei giorni migliori, riesco a sentirmi più forte di prima, come raddoppiato dalla sua presenza costante dentro di me.

È stata la presenza rassicurante di sua moglie Francesca a permetterle di trasformare le lacrime in sorriso?
Assolutamente sì. Francesca è l’artefice della mia rinascita. Non è un caso che abbia lo stesso nome di mia madre e che sia nata lo stesso giorno di mia sorella Tinuccia. Anche lei è reggina, e mi ha spronato a uscire da quel limbo oscuro per tornare a respirare, a vivere e a lavorare con più fervore.

Anche se per lei, ormai, l’azienda non c’è più.
C’è stata una Versace di Santo e Gianni, una di Santo e Donatella, e adesso ce n’è una con Donatella direttore creativo e una proprietà straniera. La guardo da lontano. I rapporti tra noi sono buoni, soltanto che lei è rimasta nella moda e io ho scelto di uscirne. La scrittura di questo libro mi ha permesso di chiudere con quell’epoca per iniziare una fase nuova, ricca di nuove esperienze

“Inventati ogni giorno anche a costo di contraddirti” sosteneva Gianni. Lei aveva già iniziato a guardare oltre. Nel 2008 è stato eletto in Parlamento nelle liste del Popolo della Libertà. Un’esperienza deludente?
Sì, assolutamente. Avevo voglia di servire il Paese e di fare qualcosa di nuovo. Non m’importava di scegliere fra destra e sinistra. Sognavo di introdurre dei cambiamenti nella politica come avevo fatto nella moda. Ma non è stato possibile. Quell’esperienza mi è servita a capire che sono davvero poche le persone che credono e si adoperano per il bene comune.

Qual era la sua idea di politica?
Per me la politica è una forma altissima di carità, un mezzo per aiutare le persone a stare meglio. Sono un uomo del fare e del dare. Porto avanti l’esempio dei miei genitori che non si sono mai sottratti dall’aiutare il prossimo. Mio padre ci ripeteva sempre: “Chi ha la possibilità di aiutare una persona e non lo fa non vale niente”. La politica, per me, è amare il prossimo come regola di vita.

Tra le pagine, una Polaroid perfetta di quel periodo: una cena della Fondazione Altagamma in cui Berlusconi a un certo punto fa apparire Noemi Letizia al posto di Paolo Bonaiuti, presentandola come una cara amica delle sue figlie.
Sì, è vero. Ero distante da tutte quelle amenità. Mi dà persino fastidio riparlarne. Preferisco guardare al bello che le donne e gli uomini realizzano per bonificare la realtà italiana. Penso che se l’Italia fosse correttamente governata sarebbe il primo Paese al mondo. Il nostro potenziale è infinito, e lo dimostriamo ogni giorno, perché nonostante le problematiche il mondo ci ama.

I suoi modelli di riferimento sono le persone abili a conquistare e a restituire. Alla maniera di Diego Armando Maradona – che faceva sentire campioni anche i compagni più deboli e in difficoltà, spingendoli a compiere imprese calcistiche che sembravano impossibili – anche Gianni ha puntato alla valorizzazione delle risorse umane, facendo sentire tutti sempre a proprio agio.
Mi piace questo paragone. Ho stima profonda per chi riconosce il valore delle risorse umane, perché sono la ricchezza delle aziende, e le aziende non appartengono agli azionisti ma a coloro che ci lavorano dentro. Pensi che alla fine di ogni sfilata Gianni partiva da Milano per andare in fabbrica, a Novara, a complimentarsi con le sarte, ringraziandole per aver dato vita alle sue visioni.

Oltre alle greche e alla Medusa, è stata la ricerca estrema della bellezza il motivo ricorrente della Versace.
La nostra moda è stata considerata alla stregua di un’arte e, al tempo stesso, noi eravamo mecenati, sempre alla ricerca di temi, idee e di belle teste con cui confrontarci. A Gianni piaceva circondarsi di gente colta, ne assorbiva l’energia e poi la restituiva in creatività. Era goloso di tutto. Da ragazzo, a scuola, era disinteressato ai libri, poi però ha voluto recuperare il tempo perso a velocità supersonica. Leggeva tanto, approfondiva, studiava, ricercava. Ogni sua scelta – dalle modelle ai testimonial – ha incarnato l’assoluta bellezza. Sono convinto che se oggi si desse più importanza alla bellezza e alle storie positive, tralasciando gli argomenti tetri che incupiscono, la società sarebbe nettamente migliore.

Santo, nell’iconografia Versace a volte è presente anche il leone: un animale che prima di un grande balzo indietreggia per prendere la rincorsa. È quello che lei ha fatto.
Sa, l’amore guarisce tutto. Auguro a tutti di trovare un amore come quello che sto vivendo io. Francesca è arrivata per caso e ha risanato tutte le mie ferite aperte. Mi ha preso per mano, iniettandomi una bellissima dose di entusiasmo. Mi fa fatto rinascere.

Com’è il nuovo Santo Versace?
Mi sto godendo un bel momento che non ha nulla a che vedere con il passato. Sono stimolato da una serie di realtà produttive diverse tra loro. Oltre a portare avanti la Fondazione Santo Versace – nata per dare sostegno alle persone che vivono in condizioni di fragilità e di disuguaglianza sociale – ho investito in Minerva, una casa cinematografica che non ha soltanto una delle library più ricche di titoli del cinema italiano classico, ma produce film di valore. Proprio una delle pellicole che distribuiamo in Italia – Saint-Omer della regista Alice Diop – ha partecipato alla selezione ufficiale dell’ultima Mostra del cinema di Venezia conquistando due premi: Leone d’argento e Miglior Opera Prima. Un’emozione nuova per me. Quello della moda è un percorso che ho seguito fino a quando è stato necessario. Adesso, però, voglio occuparmi di cultura e creatività in un altro modo. Le confesso che mi sento in perfetto equilibrio. Questo è il mio presente.

E scommetto che per il futuro sogna anche di vincere l’Oscar.
Esatto! Francesca e io sogniamo di vincere l’Oscar (ride, ndr). Andremo a Los Angeles, mano nella mano, a ritirarlo. Sono tornato a essere un bambino felice e grintoso, desideroso di realizzare ogni sogno. Esattamente come faceva mio fratello Gianni.

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