Le questioni di illegittimità sono inammissibili. Così la Corte Costituzionale ha stabilito di non decidere sulla nuova disciplina dei vitalizi degli ex senatori – ridotti per effetto dell’applicazione del regime contributivo anche ai trattamenti maturati prima del 2012 – e la sua compatibilità con i principi generali in materia di previdenza, stabiliti dalla Costituzione. Insomma, si tratta di argomenti che non possono essere sindacati dalla Corte costituzionale. La Consulta, con una sentenza redatta da Maria Rosaria San Giorgio, ha spiegato come la rideterminazione dei vitalizi, insomma il taglio retroattivo anche per chi lo aveva maturato nell’era pre-riforma, è stata disposta con un regolamento minore del Senato e, poiché questo non rientra gli atti con forza di legge, non può essere sottoposto a un giudizio da parte dei giudici costituzionali. A dover decidere sono direttamente gli organi di autodichia di Palazzo Madama.

Le questioni di legittimità costituzionale erano state sollevate dal Consiglio di garanzia del Senato e facevano riferimento all’applicazione del regime contributivo anche ai trattamenti maturati prima del 2012 e già in godimento. Secondo il Consiglio, le nuove norme erano in contrasto con ben nove articoli della Costituzione. La previsione con legge del vitalizio assicurerebbe “un’auspicabile omogeneità della disciplina concernente lo status di parlamentare”, oltre a garantire che quell’atto normativo potrebbe essere scrutinato dalla stessa Corte, sottolinea la Corte. Nella sentenza la Consulta, pur rilevando di non potersi esprimere sul taglio perché disposto con un regolamento interno, precisa tuttavia che gli emolumenti, dovuti al termine dell’incarico elettivo, “investendo una componente essenziale del trattamento economico del parlamentare, contribuiscono ad assicurare a tutti i cittadini uguale diritto di accesso alla relativa funzione” e scongiurano “il rischio che lo svolgimento del munus parlamentare, possa rimanere sprovvisto di adeguata protezione previdenziale”.

Dinanzi alla Consulta si era arrivati dopo un iter travagliato e lunghissimo, seguito alla delibera dell’Ufficio di presidenza del Senato che aveva ricalcolato il valore dell’assegno. Molti ex senatori aveva fatto ricorso e si era così finiti dinanzi alla commissione Contenziosa. Tutto l’iter del lavoro della commissione è stato inquinato da ombre, accuse di conflitto d’interessi e dimissioni. Il momento più alto dello scontro è arrivato con lo scoop del Fatto Quotidiano, che il 30 gennaio 2020 aveva pubblicato la bozza di delibera con il quale si accoglieva il ricorso degli ex parlamentari, preparata molto prima che si concludesse la camera di consiglio. Due mesi prima, nel novembre del 2019 Elvira Evangelista, senatrice M5s, lasciò la commissione perché, disse, “tra i membri c’è un intreccio di relazioni amichevoli e professionali”.

Il colpo di coda della Casta arrivò davvero il 25 giugno di due anni fa con l’annullamento della delibera dell’Ufficio di presidenza del Senato. La sentenza imponeva agli uffici del Senato di restituire gli arretrati milionari che circa 700 ex senatori avevano accumulato. Al deposito delle motivazioni della sentenza, la segretaria generale del Senato Elisabetta Serafin ha fatto appello contro la decisione, congelando di fatto la restituzione di interessi ed arretrati. E la palla era passata al Consiglio di garanzia, una sorta di organo d’appello della giustizia interna a Palazzo Madama. Da lì, si è arrivati alla Consulta per gli arretrati, ossia le differenze non corrisposte dall’entrata in vigore della delibera, cioè dall’1 gennaio 2019 a oggi, e se il ricalcolo contributivo, con annessi risparmi da 22 milioni di euro all’anno per le casse dei contribuenti, sia stato fin dal principio legittimo nei suoi presupposti.

E con la sentenza depositata oggi la Corte ha dichiarato inammissibili anche le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti della norma di legge del 1994 che si è limitata a sopprimere ogni regime fiscale particolare per gli assegni vitalizi spettanti agli ex parlamentari. Non è stata fornita alcuna motivazione – ha osservato la Corte – sul perché si riteneva di dover fare applicazione di una disposizione che riguardava il trattamento fiscale dei vitalizi, in un giudizio in cui è contestata la rideterminazione in senso peggiorativo dei vitalizi già in godimento dei senatori.

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