Qualcuno l’ha definito “l’istinto della casta”. E probabilmente è proprio quello che sta alla base dell’ultima proposta di legge depositata il 14 novembre dai capigruppo di maggioranza al Consiglio regionale della Calabria. A firmarla ci sono quasi tutti: dai consiglieri di Forza Italia Gianni Arruzzolo (da poco eletto deputato) e Giacomo Crinò a Francesco De Nisi di Coraggio Italia, passando per Giuseppe Graziano dell’Udc e Giuseppe Neri di Fratelli d’Italia. L’obiettivo è uno solo: salvare la poltrona e garantire un salvagente a quei consiglieri regionali che al momento, per essere nominati assessori, devono rinunciare per legge al seggio di palazzo Campanella. La proposta, infatti, stabilisce “le procedure per la sospensione dalla carica di consigliere e la relativa sostituzione temporanea”. Ed è proprio quest’ultima parola (“temporanea”), assieme al concetto di “sospensione”, che lasciano più di qualche dubbio sulla costituzionalità della norma, che il centrodestra vuole far passare per superare l’impasse che da mesi sta bloccando il rimpasto di giunta che il goveratore Roberto Occhiuto non riesce a portare a termine.

In sostanza, “in un’ottica di separazione tra potere legislativo e potere esecutivo”, oggi se il consigliere regionale vuole accettare la nomina di assessore deve rinunciare alla carica per la quale è stato eletto. Se poi il presidente della Giunta dovesse revocarlo prima della fine del mandato (o se lui stesso dovesse dimettersi) non gli resterebbe altra strada che tornare a casa, perché nel frattempo è stato sostituito (in via definitiva) dal primo dei non eletti. Se passasse la proposta di legge del centrodestra, invece, l’assessore potrebbe tornare in Consiglio a occupare quel posto, solo temporaneamente tenuto al caldo dal primo dei non eletti. Il quale, a questo punto, non diventerebbe un consigliere regionale a tutti gli effetti ma un mero “supplente per l’esercizio delle funzioni”: se il collega nominato assessore cambiasse idea, dovrebbe ritirarsi in buon ordine e restituire il seggio al “legittimo proprietario”, come se fosse un bene privato. Recita infatti il quarto comma della proposta di legge: “Quando il consigliere, sostituito ai sensi del comma 3, cessa dalla carica di assessore, il Consiglio regionale, nella prima seduta utile successiva alla comunicazione della cessazione, dispone la revoca della supplenza ed il reintegro nella carica di consigliere regionale”.

Una follia che fa in mille pezzi la decantata “ottica di separazione tra potere legislativo e potere esecutivo”. Se da una parte infatti questa norma potrebbe favorire il rimpasto che Occhiuto non riesce a portare a termine, dall’altra la legge così pensata potrebbe essere intesa proprio come un voler legare le mani al presidente della Regione, che così diventerebbe ostaggio dei suoi consiglieri, una sorta di sorvegliato speciale dei partiti. Non è peregrino, infatti, pensare che l’assessore regionale che torna in Consiglio dopo essere stato revocato dal governatore abbia quantomeno la possibilità di utilizzare il suo ruolo (e il suo voto) per mettersi di traverso rispetto all’azione della sua ex giunta e del suo ex presidente. Come se non bastasse, la proposta di legge non è nemmeno originale: il centrodestra ci aveva già provato quando a guidare la giunta c’era l’ex governatore Giuseppe Scopelliti. La legge regionale “moltiplica-poltrone” e “salva-consiglieri”, approvata nel giugno 2014, era stata impugnata poche settimane dopo dal Consiglio dei ministri, che aveva sollevato davanti alla Consulta una questione di legittimità costituzionale. “Tale norma”, scrisse nel ricorso il Dipartimento per gli Affari regionali di palazzo Chigi, “è censurabile in quanto comportando la sospensione di diritto dall’incarico di consigliere regionale e introducendo un meccanismo di supplenza che affida temporaneamente l’esercizio delle funzioni del “consigliere – assessore” al primo dei candidati non eletti della stessa lista, risulta invasiva dell’ambito legislativo che il comma 1, dell’articolo 122 della Costituzione ha inteso riservare al legislatore regionale, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica”. Prima che si arrivasse alla decisione, nell’aprile 2015, la Regione Calabria abrogò la norma con una legge apposita, facendo venire meno i motivi del ricorso.

Sono passati sette anni e il centrodestra ci riprova, provocando la reazione dei partiti di opposizione. Per il Pd, la norma che si vuole introdurre in Calabria è “fuori dalla realtà” e “rappresenta uno spreco di risorse economiche inconcepibile in un momento come questo in cui le famiglie fanno fatica ad arrivare a fine mese e ogni atto della politica e delle istituzioni dovrebbe essere volto al contenimento della spesa”. Si tratta “di una proposta che vuole tornare al passato”, sostengono i dem calabresi, “dopo i tanti sforzi fatti per ridurre la spesa pubblica per il funzionamento di palazzo Campanella. Il momento in cui viene depositata, inoltre – proprio alla vigilia di un rimpasto di giunta a seguito delle elezioni politiche dello scorso 25 settembre – indica chiaramente la volontà precisa del centrodestra di aumentare le poltrone disponibili e concedere l’ingresso ai primi dei non eletti delle varie liste”. Sulla vicenda è intervenuta anche la deputata del Movimento cinque stelle Vittoria Baldino secondo cui, “mentre i calabresi continuano a fare i conti con malasanità, assenza di infrastrutture, spopolamento e carenza di lavoro e servizi, la giunta Occhiuto e la maggioranza di centrodestra pensano ad approvare una proposta di legge che garantisce incarichi e poltrone. Non è la prima volta che accade, anzi si tratta di una prassi ciclica soprattutto in Calabria, poi ci chiediamo perché la nostra Regione rimane sempre indietro”.

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