Un capolavoro, non l’unico in quella partita per la verità. E l’effetto di battere il Milan in casa è pure quello di creare una sfida inedita in vetta alla classifica di Serie A: davanti c’à il Verona, ma il Torino insegue a due punti di distanza. È il Toro di Radice e soprattutto il Toro di Leo Junior: di fronte, l’11 novembre 1984, c’è il Milan del “barone” Liedholm ma in mezzo al campo il titolo nobiliare pare l’abbia quel brasiliano baffuto arrivato pochi mesi prima. E dire che la maglia granata l’ha vestita già stagionato: a 30 anni, quando tutta la carriera calcistica, da quando un poliziotto l’aveva notato giocare in spiaggia, l’aveva passata con la maglia del Flamengo… lui, tifoso del Fluminense.

Sogni e soprattutto testa da regista per Leo: corretto, delicato e molto intelligente, sia in campo che fuori, visto che arriva alla soglia della laurea in Economia e Commercio, con la passione per la finanza. In effetti per come tratta scientificamente il pallone, dagli assist per i compagni ai calci di punizione pare che applichi funzioni ed equazioni anche in campo; ma c’è chi lo fa meglio, in quel periodo in Brasile. E allora Leo, tutto destro, si adatta terzino. Terzino sinistro. E diventa uno dei più forti al mondo: col Flamengo vince tutto, dai campionati nazionali alla Libertadores all’Intercontinentale. Con la maglia verdeoro no: ha la sfortuna di trovarsi Paolo Rossi davanti.

E da terzino sinistro diventa il sogno, pur essendo trentenne, delle squadre italiane: il Napoli di Ferlaino, che ormai pensa in grande, vorrebbe regalarlo ai tifosi…ma due miliardi sono troppo pochi. Sono abbastanza i tre e mezzo che sborsa il Torino, con Moggi e Nizzola che portano avanti una lunga e difficile trattativa. Trattativa che ispira Sergio Martino, regista di L’Allenatore nel Pallone: Canà viene quasi fregato da Giginho e Andrea, con l’autografo di Junior (in realtà di un suo sosia) spacciato per contratto fino al provvidenziale intervento telefonico di Mara Canà al Maracanà; Moggi e Nizzola però il vero Junior riescono a portarlo in Italia con una garanzia però: giocare regista e non più terzino. L’inizio non è tutto rosa e fiori, ma poi Leo si prende il centrocampo granata con accanto Beppe Dossena e la squadra si ritrova a giocarsi il campionato col Verona di Bagnoli: la prestazione migliore è probabilmente quella di 38 anni fa, quando contro il Milan prima ispira il gol di Schachner, poi segna con un tocco splendido su punizione il 2 a 0.

Suo sarà l’assist per Serena nel derby vinto contro la Juventus, e in generale diventerà un pilastro del Toro di Radice, pur non riuscendo a vincere il campionato, arrivando secondi dietro il Verona. Junior viene nominato giocatore dell’anno della Serie A, e i tifosi del Toro iniziano a chiamarlo “Papà Junior” per via dell’aspetto non proprio da giovincello. Nel secondo anno Leo gioca sui suoi livelli, col Toro che arriva quinto e si ferma al secondo turno di Coppa Uefa venendo eliminata dall’Hajduk Spalato. Ma poi il rapporto con Radice si incrina al terzo anno: l’allenatore lo sostituisce spesso, Junior ci resta male, e ci resta anche peggio quando gli viene negato il permesso di andare a giocare un’amichevole di beneficenza a Tokyo con Maradona. Il brasiliano parla di insensibilità, Radice dichiara di non essere un assistente sociale e Junior replica che se a lui serve l’assistente sociale ad altri servirebbe lo psichiatra. Segue multa per Junior, chiarimento per proseguire la stagione ma poi il Toro sceglie Radice e il brasiliano finisce in lista di sbarco, assieme a Dossena che l’aveva difeso prendendo le sue parti.

E mentre tutto lascia pensare che l’orizzonte più probabile sia il ritorno al Flamengo per un giocatore ormai 33enne arriva l’offerta del Pescara: con la moglie Heloisa concorda che in fin dei conti va bene, c’è il mare, un clima più mite e un allenatore esordiente in A che gli chiede due cose, divertirsi in campo e aiutarlo nella gestione della squadra. E allora Junior accetta di giocare per Galeone, accetta la fascia di capitano che gli cede Gian Piero Gasperini e accetta pure l’orologio che Berlusconi gli regala dopo un Pescara-Milan in cui i biancazzurri perdono 2 a 0, ma con Junior che gioca benissimo. “Avessi iniziato a fare il presidente prima…” gli dice Berlusconi, lasciando intendere che nella collezione di campioni portati in rossonero Leo ci sarebbe stato benissimo. Ma a Pescara Junior si diverte, è amatissimo e pur non battendo il Milan mette la firma sul successo contro l’Inter, su quello con la Juventus e su una storica salvezza. Non bissa il secondo anno però: dopo un buon girone d’andata il Pescara crolla e retrocede, e allora Leo torna al Flamengo per chiudere la carriera (con altri trionfi).

Non può mancare un cameo: il Toro intanto è arrivato a giocare la Mitropa Cup e chiede di averlo in prestito per quelle gare, vincendo il trofeo. Un giusto commiato dalla squadra che l’ha portato in Italia. Pescara resta nel cuore di Junior (e viceversa): qui celebra l’addio al calcio, e come tedoforo per le Olimpiadi di Rio parte con la tuta della squadra abruzzese, all’epoca impegnata nei playoff di B. Un’altra icona degli anni ’80 e di un calcio in cui un campione indiscusso dava l’anima per non retrocedere con una provinciale…o finiva alla Longobarda.

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