IL LATO OSCURO DEI MONDIALI – PUNTATA 2 – Rimet sognava un torneo che avrebbe “unito le nazioni, avvicinando i popoli e rendendo il mondo un solo grande paese”. Non è andata proprio così. Da Francia 1938 a Qatar 2022, la Coppa del Mondo è anche una storia di guerre, omicidi, imbrogli e regimi dittatoriali. Puntata dopo puntata, vi raccontiamo le storie emblematiche degli intrecci tra calcio e potere

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La prima entrata a gamba tesa degli eventi storico-politici sulla coppa del mondo di calcio è avvenuta nella terza edizione, nel 1938 in Francia. Il paese transalpino fu scelto dalla Fifa per evitare che il torneo venisse nuovamente trasformato in un’enorme macchina propagandistica, come avvenuto quattro anni prima nell’Italia fascista. Fu quindi bocciata la candidatura della Germania nazista, ma anche quella dell’Argentina, contravvenendo al principio dell’alternanza tra Europa e Sudamerica e facendo infuriare sia gli argentini – con tanto di manifestazioni di protesta culminate in scontri tra le strade di Buenos Aires – che gli uruguaiani. Ma le defezioni derivanti dalle nubi nere che si stavano addensando sui cieli d’Europa arrivarono dalla Spagna, alle prese con la Guerra Civile, e dall’Austria, che nel frattempo aveva cessato di esistere come stato autonomo.

Quando Vienna si riempì di croci uncinate, il calcio divenne una delle poche oasi nelle quali chi non amava il saluto a braccio teso poteva manifestare il proprio dissenso. E di gente scontenta ce n’era tanta, ben oltre quello 0.3% che in tutta l’Austria aveva votato contro l’annessione (Anschluss) alla Germania nel plebiscito-farsa indetto da Arthur Seyss-Inquart, cancelliere del paese per un giorno, il 12 marzo 1938, che gli fu sufficiente per invitare l’esercito tedesco ad invadere l’Austria e completare il programma “Heim ins Reich” (A casa nel Reich). Al momento dell’annessione, a Vienna vivevano oltre 200mila ebrei, ma c’era anche una discreta fetta della media borghesia che non voleva assolutamente vedere i tedeschi in casa propria. Non tanto, o non solo, perché nazisti, ma proprio perché tedeschi.

A livello sportivo annessione significava un solo campionato e un’unica nazionale. E questo, anche prescindendo dalla questione politica e morale, proprio non andava giù agli austriaci. La loro era una nazionale straordinaria, nota come Wunderteam, la squadra delle meraviglie, per la miscela di classe, eleganza, atletismo, tecnica e intelligenza tattica messa in campo. Era un calcio che diventava arte (gli austriaci lo definiscono con l’intraducibile termine Scheiberlspiel) e che viaggiava anni luce lontano da quello tutto corsa e fisico con il quale veniva storicamente identificato lo stile tedesco. Eppure negli anni Trenta in Germania dominava lo Schalke 04 con il Der Kreisel (la Trottola), un sistema di gioco pressoché identico a quello del Wunderteam. Ma i minatori di Gelsenkirchen rappresentavano un’eccezione che confermava la regola, e ai fuoriclasse austriaci, da Matthias Sindelar a Jozef Bican fino a Franz Binder e Josef Stroh, venivano i brividi solo all’idea di avere dei rudi tedeschi – “che giocano inquadrati come se fossero nell’esercito” (così Hans Pesser del Rapid Vienna) – non solo come connazionali, ma addirittura come compagni di squadra. Solo l’ultimo dei quattro giocatori citati sarà presente al Mondiale.

Nel 1938 però anche la nazionale tedesca si trovava nel momento più esaltante della sua storia. Un anno dopo la figuraccia alle Olimpiadi di Berlino, quando uscì al primo turno nell’unica partita di calcio a cui Adolf Hitler assistette in vita sua, la Germania aveva battuto 8-0 la Danimarca. Nasceva il mito del Breslau Elf, compagine considerata dagli storici del calcio tedesco come una delle selezioni della Mannschaft migliori di sempre. Una squadra che aveva nella stella dello Schalke 04 Fritz Szepan il proprio capitano, nonché l’elemento più talentuoso. Sulla carta, l’unione tra il Wunderteam creato da Hugo Meisl (deceduto a causa di un infarto nel febbraio del ‘37) e il Breslau Elf di Sepp Herberger (futuro tecnico campione del mondo con la Germania Ovest nel ’54) avrebbe dovuto creare uno squadrone con pochi eguali al mondo. Invece in Francia l’avventura finì al primo turno contro la Svizzera, dopo un pareggio e una sconfitta nella successiva ripetizione dell’incontro. Nessuno aveva considerato il fattore disgregante generato dall’odio reciproco tra tedeschi e austriaci.

I segnali erano stati chiari fin dall’inizio, quando venne organizzata un’amichevole tra le due nazionali in quella che avrebbe dovuto essere “la partita della riconciliazione” per festeggiare il ritorno dell’Austria nelle braccia della Germania. I gerarchi nazisti fecero capire che il match avrebbe dovuto finire in parità per consentire a tutti di festeggiare. Non tutti però erano d’accordo: nella ripresa Sindelar portò in vantaggio gli austriaci e corse sotto la tribuna tedesca per festeggiare con un irriverente balletto. A fine gara lui e il compagno di squadra Karl Sesta, autore del raddoppio, furono gli unici a rifiutarsi di fare il saluto nazista. Sindelar disse di no anche alla convocazione al Mondiale.

Le cose non andarono meglio nei primi allenamenti in comune. Una volta Josef Stroh, ennesimo formidabile artista della scuola di Vienna, iniziò a palleggiare con varie parti del corpo, tra il tripudio degli austriaci. Terminato il numero i tedeschi chiamarono il loro mago, Szepan, che ripeté per filo e per segno tutti i palleggi del collega, chiudendo la performance con un tiro stampatosi sul muro pochi centimetri sopra la testa di un ammutolito Stroh. “Stronzi”, mormorò Szepan mentre tornava tra i tedeschi sommerso dagli applausi. I due big furono schierati assieme da Herberger nel replay contro la Svizzera, disputato cinque giorni dopo l’1-1 al quale entrambi avevano assistito dalla panchina. Si ignorarono completamente, ma era tutta la squadra a mancare di coesione. Quando i rivali indossano la tua stessa maglia e non quella degli avversari, il risultato finale è scontato. La Germania perse 4-2 e fu eliminata, per ironia della sorte, proprio da un allenatore austriaco: Karl Rappan. Era un calcio nuovo quello di Rappan, che implementava un ruolo inedito come quello del libero, con compiti esclusivamente di copertura. Un modulo di gioco chiamato verrou e considerato l’antenato del catenaccio. Rappan proveniva da Vienna, il laboratorio calcistico per eccellenza degli anni Trenta, diventato la pietra tombale di tutte le ambizioni calcistiche della Germania del Reich.

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