Nelle scorse ore sono stati disposti gli arresti domiciliari per tre agenti di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Bari e altri sei sono stati sospesi dal servizio per un anno. L’accusa per i primi è quella di tortura, per un presunto pestaggio nei confronti di una persona detenuta che sarebbe avvenuto lo scorso 27 aprile. Ai secondi, che avrebbero assistito alla scena senza muovere un dito, è contestato il concorso in tortura. Sono sotto indagine anche tre infermieri e il medico di guardia all’infermeria dell’istituto. Non avrebbero segnalato le ferite sul corpo del detenuto, coprendo così gli abusi che sapevano essere stati subiti.

Nulla di nuovo sotto il sole, si potrebbe pensare. Dopo che tutta Europa ha visto le immagini riprese dalle videocamere interne al carcere di Santa Maria Capua Vetere, che mostravano la mattanza avvenuta nell’aprile 2020 per la quale si è aperto il processo proprio qualche giorno fa, non è una novità scoprire che in carcere può esistere la violenza.

Vero. Ma la novità è un’altra. A denunciare l’accaduto sono state a Bari la direttrice dell’istituto e la comandante di polizia penitenziaria. Questo sì che è qualcosa alla quale non eravamo abituati. Lo spirito di corpo che troppe volte abbiamo visto marmoreo nelle forze dell’ordine ci ha fatto conoscere in passato omertà, silenzi e difese aprioristiche. Ai quali purtroppo non sono stati estranei neanche direttori e dirigenti dell’amministrazione penitenziaria che, forse sentendo indebitamente una qualche pressione, non hanno denunciato episodi di violenza dei quali pur erano venuti a conoscenza. Quando a volte in passato abbiamo chiesto il perché di queste mancate denunce, sembrava quasi che la nostra domanda fosse frutto di ingenuità, quasi che il comportamento da tenersi fosse obbligato, quasi che la denuncia fosse un tabù.

Invece no. Si può fare. Questo ci dice la vicenda barese. Un comandante può denunciare i propri sottoposti che deviano dalla legalità. Allo stesso modo può farlo un direttore di carcere. Possono e devono farlo. I detenuti hanno il diritto di poter contare sulla loro protezione. E i tanti poliziotti penitenziari onesti hanno il diritto di venire distinti da chi onesto non è, senza che possa passare l’idea generica e impersonale che “in carcere si mena”.

Un grande grazie, dunque, alla direttrice e alla comandante del carcere di Bari. Ci auguriamo che possano essere di esempio affinché sempre e comunque si condanni la violenza indebita delle forze dell’ordine e si isoli chi abusa del proprio potere. Un grande grazie da parte di chiunque abbia a cuore la democrazia.

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