Nulla si è mosso sul caso di Giulio Regeni, neanche dopo le ultime proteste della famiglia del ricercatore torturato e ucciso in Egitto per cui in Italia sono processo quattro ufficiali dei servizi segreti del Cairo. E neanche dopo il colloquio della premier Giorgia Meloni con il presidente Al-Sisi. Per l’Egitto nonostante le parole la vicenda è chiusa definitivamente come si legge in un documento del ministero della Giustizia italiano depositato ai giudici di Roma. “A fronte delle insistenti richieste italiane di ricevere gli indirizzi dei quattro imputati egiziani al fine di potere consentire le notifiche” degli atti e “permettere l’iter giudiziario”, le autorità egiziane hanno “riferito che la Procura generale” del Cairo “ha già svolto indagini nei confronti degli stessi quattro imputati nel procedimento italiano. Indagini conclusesi il 26 dicembre del 2020 con un decreto di archiviazione“. Nel documento di cinque pagine depositato dal capo dipartimento per gli Affari Giustizia, presso il Ministero di via Arenula, Nicola Russo, si aggiunge che “la Procura Generale egiziana ritiene che questo provvedimento (archiviazione ndr) abbia natura decisoria irrevocabile, ovvero che si tratti, con particolare riferimento alla posizione giuridica dei quattro imputati, di una decisione giudiziaria non più suscettibile di impugnazione e che preclude la riapertura di un procedimento” in Egitto “nei confronti dei quattro”.

Tra i documenti depositati anche una richiesta che il ministero della Giustizia ha inviato il 20 settembre scorso alla Procura Generale della Repubblica Araba d’Egitto per “acquisire informazioni che non sono contenute nel decreto di archiviazione” e che “afferiscono, in buona parte, alla normativa processuale e penale egiziana”. Tra le richieste si chiede se “il divieto del bis in idem possa valere, secondo la legge egiziana, anche qualora il primo procedimento si sia concluso con un mero provvedimento di archiviazione e quale sia, nell’ordinamento egiziano, il fondamento giuridico di tale principio”. E ancora se “le quattro persone imputate nel procedimento penale italiano siano state informate, o meno, della pendenza a loro carico del procedimento nell’ambito del quale è stato redatto il Memorandum (archiviazione ndr)” e se “siano altresì informate della pendenza di un procedimento penale a loro carico”. Ad oggi anche questo “ulteriore sollecito è rimasto senza esito”, si legge nel documento depositato a piazzale Clodio il 10 ottobre scorso.

Lo scorso 15 luglio la Cassazione ha confermato lo stop al processo a carico del generale Sabir Tariq e dei colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. La Suprema corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dei pubblici ministeri della Procura di Roma contro la decisione del giudice dell’udienza preliminare che l’11 aprile scorso ha disposto la sospensione del procedimento disponendo nuove ricerche degli imputati a cui notificare gli atti. Una decisione che, con l’ostruzionismo dell’Egitto, ha ridotto i margini per potere celebrare un processo in Italia sul caso Regeni.

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