La grande manifestazione di sabato 5 novembre a Roma deve rappresentare uno spartiacque definitivo rispetto alla posizione dell’Italia e dell’Europa sul conflitto in corso in Ucraina come su ogni altro conflitto.

Vogliamo un’Italia che sia operatrice, promotrice e costruttrice di pace, che sia in linea coll’art. 11 della nostra costituzione repubblicana e antifascista e con Papa Francesco e non col guerrafondaio statunitense Joe Biden, che si appresta a perdere rovinosamente le elezioni midterm e che incarna la strategia occidentale di rischiare l’abisso senza fondo della guerra nucleare pur di riaffermare il pericolante primato di un pugno di paesi in piena decadenza economica, sociale, politica e che usurpano indebitamente il ruolo di difensori della democrazia e della civiltà strumentalizzando le enormi sofferenze del popolo ucraino che continuano a mandare allo sbaraglio, avversando sistematicamente ogni ipotesi di soluzione pacifica e diplomatica del conflitto, da ben prima dell’invasione russa del 24 febbraio 2022 e continuando a versare benzina sul fuoco mediante l’invio di armi e dichiarazioni irresponsabili.

Ben conosciamo i principali referenti italiani di questa congrega. I pericolosi guerrafondai disposti a far mettere a fuoco e fiamme il bel paese, pur di garantire la soddisfazione dell’interesse degli Stati Uniti di vendere a caro prezzo i loro prodotti energetici e militari e di riaffermare il loro dominio semicoloniale sull’Europa nel momento in cui il resto del mondo dà loro compattamente le spalle.

Parlo anzitutto di Enrico Letta, il micidiale segretario del Pd, che è stato il principale artefice della vittoria elettorale delle destre in Italia e che, prima di essere buttato definitivamente nella pattumiera della storia, continua a fare danni irreparabili e persiste sulla linea del sostegno alla guerra e per tale motivo è stato giustamente fischiato ed insultato dai partecipanti alla manifestazione di Roma alla quale, con incredibile faccia tosta, ha voluto fare una breve quanto insensata capatina.

Parlo dell’uomo confindustriale e Nato Carlo Calenda, il quale ha raccolto qualche centinaio di suoi accoliti in un raduno proguerra a Milano convocato in aperta contrapposizione alla grande manifestazione di Roma. Parlo del signor Guido Crosetto, grand commis dell’industria bellica, l’unica che guadagna, e molto, dalla continuazione della guerra in Ucraina, come da quella di qualsiasi altra guerra. Parlo infine della signora Giorgia Meloni, che ha cominciato malissimo il suo mandato governativo all’insegna della guerra che si declina anche sul piano interno come attacco ai giovani, e quindi al futuro, come riaffermazione incondizionata delle ragioni del peggiore sfruttamento capitalistico e come richiamo delle tradizioni di servilismo internazionale, che fu proprio del fascismo mussoliniano nella stagione finale e catastrofica della sua esiziale parabola ventennale.

Qualcosa in Europa si sta muovendo e le sue principali potenze, Francia e Germania, mostrano oramai inequivocabili segnali di insofferenza nei confronti dell’anacronistico dominio statunitense che soffoca ogni autonomia del nostro continente e ogni sua possibilità di giocare un ruolo autonomo nel contesto internazionale in rapida e profonda mutazione.

Ma la signora Meloni, convergendo in ciò cogli altri nefasti personaggi che ho evocato, e in particolare con Letta, rinverdisce anche le peggiori tradizioni democristiane di totale subalternità agli Stati Uniti e alla Nato preferendo di collocarsi insieme al governo polacco, punta di lancia dell’atlantismo europeo e fautore, sul piano interno, di un pericoloso autoritarismo che lo spinge a rinnegare ogni principio democratico entrando in contraddizione, addirittura, colla Commissione europea.

L’attuale governo italiano, chiamato dai potenti nazionali ed internazionali a tutelare i propri privilegi nella continuità della guerra e dell’economia di guerra, deve durare il meno possibile. Si preannuncia in Italia una stagione di acute lotte politiche e sociali che devono avere per obiettivo insieme, la tutela dei settori più deboli della nostra società, che la Meloni e i suoi accoliti vorrebbero privare perfino del misero reddito di cittadinanza e il rilancio del ruolo europeo e internazionale del nostro paese, per una politica di pace e cooperazione a trecentosessanta gradi, fuori da ogni logica di bovino allineamento ai diktat degli Stati Uniti e della Nato.

Dovremo quindi arrivare, prima di quanto non sia oggi possibile prevedere, a nuove elezioni politiche ben più partecipate delle ultime, frettolosamente volute ed organizzate dalla classe dominante per elaborare il lutto determinato dalla prematura dipartita di Mario Draghi e dei sedicenti migliori. A tali elezioni dovrà finalmente potersi presentare una sinistra vera corroborata dalla rottamazione di Letta & co. e capace finalmente di osare-lottare e osare-vincere nel nome delle migliori aspirazioni del popolo italiano alla democrazia, alla giustizia sociale e alla pace.

I nuovi Re di Roma

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