di Francesco Schettino

Facciamo subito chiarezza nell’esplicazione del titolo: la premier è la signora Giorgia Meloni, coadiuvata dai ministri dell’Interno Matteo Piantedosi e della Giustizia Carlo Nordio. Si allude alla previsione normativa del nuovo reato introdotta nel nostro sistema penale non considerando la pena detentiva comminata.

Beninteso, l’entità astratta della pena appare manifestamente eccessiva in rapporto alla violazione commessa, ma la sua ridondanza si può spiegare con l’intento di ‘dare una lezione’ da subito : oggi afflittiva, domani dissuasiva. E nel contempo consegnare all’opinione pubblica il segnale, avente una schietta valenza di propaganda, che il governo di destra fa sul serio, non scherza e non si impantana negli sterili meandri degli annunci a cui sono solite indulgere le forze di sinistra.

Va da sé che a questo specifico aspetto della bagarre politica l’Osservatorio è dichiaratamente estraneo. Il tema principale dello svarione (per usare un indulgente eufemismo) in cui è incorso il governo non riguarda la misura della pena. E trova le sue radici nella conferenza stampa tenuta dalla premier reduce dal Consiglio dei ministri, nella quale ha presentato la nuova tipicità criminosa presidiata, a latere, dal ministro dell’Interno e da quello della Giustizia.

Senonché – ad onta del presidio di cotante autorità da far pensare metaforicamente alle colonne d’Ercole – la configurazione del neonato delitto inquadrato – a dire della premier – come un reato contro la incolumità pubblica è illogica e sbagliata.

Per convincersene, occorre spiegare che – nell’ordinamento penale – la nozione di ‘pubblica incolumità’ rinvia ad un pericolo che investe potenzialmente una pluralità indeterminata di persone. Come sarebbe quello indotto dalla manomissione di un binario ferroviario che può determinare il deragliamento dei treni in transito, o anche dall’attentato ad un ponte percorso dai veicoli o ad una diga la cui rovina farà inondare e spazzare via i paesi della valle sottostante (come accadde col Vajont).

In quest’ordine di idee, una turba di ragazzi (o ragazzacci, se più piace) radunatisi abusivamente in un capannone uno spazio territoriale, un edificio, quale pericolo per “l’incolumità pubblica” può rappresentare? Al massimo per l’incolumità acustica: ma questo è un altro discorso.

In conclusione, è andato in scena un grave infortunio dacché la premier, priva di competenze tecniche, ha presentato – menandone vanto – un’abnormità giuridica che chiama in causa, parallelamente, entrambi i ministri presenti: Piantedosi e Nordio. Anche se il vento della più accesa polemica investe la credibilità del collega di governo, il ministro della Giustizia Nordio non può dirsi estraneo alla vicenda. Il decreto legge infatti non è un provvedimento monocratico del premier, ma fa capo al Consiglio dei ministri che è un organo collegiale, nel quale i ministri hanno facoltà di interloquire; e nessuno più di Nordio era qualificato a farlo nella sua veste di ministro della Giustizia e, a più forte ragione, nella sua qualità di ex magistrato addetto – come pm – al ramo penale.

D’altro lato, la fretta precipitosa è – come si sa – cattiva consigliera. E verosimilmente la premier ha attinto consigli sbagliati. Nondimeno, ha rivendicato il decreto alla sua iniziativa. Una toppa peggiore del buco.

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