Nella cesta della mercanzia che il governo Meloni espone e offre agli italiani, molti dei quali giustamente temono l’incauto acquisto, c’è un dono non trascurabile: la ruvida franchezza rispetto alla propria identità. Questo governo non nasconde il volto, non si vergogna, non ha nessun imbarazzo. Ha voglia di mostrarsi come mamma l’ha fatto: rotondamente di destra, convintamente di destra.

Il rave, la tregua fiscale, la revoca delle sanzioni ai medici no vax sono insieme i primi ed eloquenti segnali della caratura culturale, del timbro politico di questa maggioranza.

La novità, piuttosto grande, è che per la prima volta è il partito più ideologico a trascinare la coalizione, a colorare con le sue pulsioni identitarie gli indirizzi del Parlamento. Per la prima volta il sistema maggioritario ha penalizzato la corsa al centro, l’idea cioè che si potesse vincere solo scolorandosi, annacquando le idee, i progetti. Tutti al centro e tutti uguali. La neutralità paventata delle soluzioni politiche che negli anni ha invece finito per fare due grandi danni: da un lato annientare l’identità del partito che avrebbe dovuto rappresentare il riformismo della sinistra; dall’altro allontanare gli elettori dalle urne. Non trovando differenze nel menù elettorale, nel linguaggio, nello stile, nella pratica e anche nella dirittura morale, tanti hanno infatti smesso di votare.

Perciò il governo Meloni che porta la destra a imporre il proprio lifestyle reca un regalo, oggi forse ancora nascosto, per quelle forze che hanno in animo di opporvisi. Perché sono costrette a mettere in campo un altro punto di vista.

Apatica, poltronista, neghittosa, elitaria. La sinistra delle ztl, dei centri storici, delle famiglie ricche. Così è stata accusata e in qualche modo – persino compiacendosene – si è autodefinita.

Adesso, se vorrà resistere allo spirito del tempo, dovrà proporci un menù finalmente appetibile, non i vecchi piatti sciapi dell’oste di sempre.

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