Provate ad immaginare una distopia dove una legge sancisse la capacità giuridica del feto considerandolo a tutti gli effetti una persona fin dal concepimento, e poi fantasticate su questa ipotesi in un’ottica metagiuridica. Quali potrebbero essere le conseguenze? In questa distopia, una donna incinta che scoprisse di avere un cancro non potrebbe sottoporsi a terapie fino al parto perché metterebbe a rischio la sopravvivenza del feto-persona. Una volta partorito, quella donna potrebbe occuparsi del cancro cresciuto nel suo corpo insieme al feto, auspicando di non aver messo al mondo un orfano e di avere ancora il tempo di salvarsi la vita.

Una vittima di stupro o una adolescente rimasta incinta dopo una violenza sessuale commessa dal padre non potrebbero ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza. Tantomeno potrebbe farlo una donna che non si sentisse pronta ad essere madre perché l’aborto potrebbe essere considerato un infanticidio; è possibile che in questa distopia sarebbero sconsigliate o forse vietate la villocentesi e l’amniocentesi perché potrebbero mettere in pericolo la prosecuzione della gravidanza.

Andiamo avanti con l’immaginazione. I tribunali potrebbero nominare i curatori del feto col potere di decidere, in caso di gravidanza a rischio, se sopravvive la madre o l’embrione. Una dimensione come questa ci ricorda I racconti dell’ancella di Margaret Atwood, romanzo pubblicato nel 1985 e ambientato nella Repubblica di Gilead, dove le donne sono assoggettate a servire la comunità con le loro funzioni riproduttive. Ma senza andare troppo lontano con la fantasia, alcune delle cose che ho immaginato avvengono già negli Stati Uniti dopo la decisione della Corte Suprema che, il 24 giugno scorso, ha abolito la storica sentenza Roe vs Wade che nel 1973 rese legale l’aborto.

A pochi giorni da quel pronunciamento, Caitlin Bernard, una ginecologa di Indianapolis, ha appreso che una bambina di 10 anni, in Ohio, era rimasta incinta dopo uno stupro e non poteva più ricorrere ricorrere legalmente all’Ivg. Dopo il 24 giugno, negli Stati dove erano già in vigore le restrizioni del divieto di aborto, le cose sono peggiorate ed è cominciata la caccia alla donna gravida che vuole abortire. In Louisiana, una donna si è vista negare il diritto di abortire nonostante il feto avesse l’acrania, una gravissima malformazione congenita, ossia la mancanza del cranio che ne rende impossibile la sopravvivenza. L’ospedale ha deciso di non procedere per il timore di violare la legge che vieta l’aborto tranne in caso di pericolo di vita per la donna.

E in Italia che succede?

Durante la campagna elettorale Giorgia Meloni aveva promesso che in caso di sua elezione, cosa poi avvenuta, non avrebbe toccato la 194, ma il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia ha depositato un disegno di legge per modificare l’articolo 1 del Codice civile e introdurre nel nostro ordinamento il riconoscimento della capacità giuridica al concepito. Nella relazione che accompagna il ddl si spiega che “nella legge 194 che disciplina l’aborto non vi è una negazione dei diritti del concepito, ma nemmeno vi è un loro riconoscimento” e per questo si ritiene “opportuna la modifica dell’articolo 1 del codice civile perché essa condurrebbe ad una applicazione della intera legge n. 194 del 1978 più coerente con l’intento di prevenire l’aborto volontario, in qualsiasi forma, legale o clandestino che sia”.
Si scrive “prevenire” ma si legge “impedire”.
E’ estremamente improbabile che questo disegno di legge, delirante, possa essere discusso alla Camera e al Senato (mai dire mai!); ma se vogliamo essere ottimiste possiamo leggere questa legge come una manifesto di intenti, una prova muscolare e di esibizione di potere machista analogo al comportamento di quei signori orgogliosi del loro fallo a tal punto che si aprono l’impermeabile mostrando le pudenda alle donne per vedere l’effetto che fa. Dovremo attendere poco per capire se questo ddl resterà del cassetto oppure sarà calendarizzato. Comunque sia, il messaggio rivolto alle donne è stato ricevuto: “Se vogliamo vi possiamo ridurre ad una funzione riproduttiva”.

Non è finita. Gasparri, che potremmo ribattezzare “Maurizio il prolifico” tanto per stare in tema di riproduzione, ha anche figliato un secondo disegno di legge per istituire la Giornata della Vita nascente al fine di promuovere la consapevolezza del valore sociale della maternità e della solidarietà tra generazioni. In occasione del 25 marzo, lo Stato, le Regioni e gli Enti locali dovranno organizzare e promuovere “manifestazioni pubbliche, cerimonie, incontri, momenti comuni di informazione e di riflessione, anche nelle scuole di ogni ordine e grado, al fine di diffondere informazioni sulla gestazione, sulla comunicazione e sulla interazione relazionale precoce tra madre e figlio, sulle cure da prestare al nascituro e alla donna in stato di gravidanza, sui diritti spettanti alla gestante, sui servizi sanitari e di assistenza presenti sul territorio, sulla legislazione sul lavoro a tutela della madre e del padre, nella prospettiva di far emergere tutta la positività dell’esperienza genitoriale”.

Nel giorno della celebrazione collettiva del coito, ma solo ai fini riproduttivi, si loderà “la vita nascente” ma si disprezzerà quella delle donne che sono già nate e scelgono di abortire e che da decenni incontrano difficoltà e ostilità nel percorso dell’Ivg. L’obiezione di coscienza è cresciuta in 50 anni svuotando la 194 lentamente e inesorabilmente. Nella relazione Mai dati, l’associazione Luca Coscioni ha reso note le percentuali dell’obiezione di coscienza nelle strutture pubbliche: “Ci sono 72 ospedali che hanno tra l’80 e il 100% di obiettori di coscienza. Ci sono 22 ospedali e 4 consultori con il 100% di obiezione tra medici ginecologi, anestesisti, personale infermieristico e OSS. 18 ospedali con il 100% di ginecologi obiettori. Ci sono 46 strutture che hanno una percentuale di obiettori superiore all’80%”.

Un costante boicottaggio coltivato anche con la promozione dei Giardini degli Angeli, della Messa per i non nati, dei manifesti Pro Vita, delle processioni con i feti di plastica incollati alle croci – distribuiti come gadget al Congresso delle Famiglie di Verona nel 2019 – delle preghiere collettive davanti alle strutture dove si pratica Ivg, e da tutto ciò che ha fatto crescere una pericolosa intolleranza e ostilità fino a rasentare l’odio nei confronti del potere delle donne di decidere se dare alla luce un figlio oppure no.

Le testimonianze su quanto sia difficile, doloroso e traumatico abortire tra obiettori si susseguono e ci raccontano di donne lasciate senza assistenza, redarguite e disprezzate dal personale medico e infermieristico posseduti da un fanatismo antiabortista che sa di caccia alle streghe. Ma non è finita. Alcune donne sono state umiliate dall’esposizione col proprio nome e cognome su croci bianche poste sulle tombe dei feti che avevano abortito. Così è accaduto a Roma al cimitero del Flaminio. Oppure obbligate a seppellire un feto abortito spontaneamente senza aver voce in capitolo per decidere, come è accaduto in Veneto ad una donna di 42 anni in virtù di una legge regionale che obbliga a seppellire materiale del concepimento anche se inferiore alle 28 settimane.

La strategia dell‘estrema destra è evidente, continuare a mortificare le donne con più forza e rendere inaccessibile la 194. Sempre che le donne siano d’accordo.

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