Fa molta impressione (almeno a me, tra gli assuefatti chi lo sa…) constatare che, come senatrice più anziana in aula, Liliana Segre, 92 anni, abbia dovuto presiedere la prima seduta del nuovo Senato nella XIX legislatura. Fa impressione, tra l’altro, perché è una delle ultime testimoni (e superstiti) della deportazione e dello sterminio degli italiani ebrei (e non solo di quelli ebrei) nei lager nazisti, con l’alacre complicità del fascismo. Eppure a Palazzo Madama le è spettato celebrare, come prevedono le regole democratiche, l’attribuzione della presidenza – dopo il voto favorevole e tra gli applausi da parte della destra – a un parlamentare post-fascista.

Il nuovo presidente del Senato è Ignazio Benito (ma dai?) Maria La Russa, ex missino, ex An, in Parlamento dal 1992, ministro della Difesa dal 2008 al 2011 in un Governo Berlusconi, fondatore con Giorgia Meloni e Guido Crosetto di Fratelli d’Italia, che nel simbolo ha ancora la fiamma del Movimento sociale (fondato nel dicembre 1946 per iniziativa di fascisti che avevano militato nella Repubblica sociale italiana di mussoliniana memoria). Ebbene La Russa, di professione avvocato, è un uomo che nel 2018, quando era già senatore, si vantava della sua allegra collezione di cimeli fascisti e di busti di Benito Mussolini (la esibisce con orgoglio all’inizio di un video pubblicato il 7 giugno di quell’anno, sul Corriere.it, dal giornalista Antonio Castaldo).

Grazie alla senatrice Segre, seduta provvisoriamente sulla poltrona diventata sua, il nuovo presidente e i suoi sodali hanno potuto rinfrescarsi la memoria. La senatrice Segre ha avuto la possibilità di sottolineare l’imminente ricorrenza del centesimo anniversario dalla marcia su Roma, che, ha affermato, “dette inizio alla dittatura fascista”.

Tra l’altro, ha ricordato, in un discorso emozionato ed emozionante, un dato di fatto incontrovertibile: la nostra Costituzione è nata dall’antifascismo e dalla Resistenza: “In Italia il principale ancoraggio attorno al quale deve manifestarsi l’unità del nostro popolo è la Costituzione Repubblicana, che come disse Piero Calamandrei non è un pezzo di carta, ma è il testamento di 100.000 morti caduti nella lunga lotta per la libertà; una lotta che non inizia nel settembre del 1943 ma che vede idealmente come capofila Giacomo Matteotti (il deputato socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924, nda)”.

Capiremo quanto il governo a guida post-fascista rispetterà la Costituzione antifascista. Siamo pronti a sorprenderci, anche in positivo. Tuttavia è legittimo chiedersi come si comporterà proprio La Russa (che ora detiene la seconda carica dello Stato dopo quella del Presidente della Repubblica) quando, per esempio, si tratterà di celebrare una festa nazionale: l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo, il 25 aprile. Non è una curiosità astratta ma dettata da ciò che egli ha fatto e detto finora. Qualche esempio? Mi è già capitato di scriverne sul IlFattoQuotidiano.it proprio in occasione di un 25 aprile, quello del 2020.

Due anni fa, in piena pandemia, il senatore La Russa aveva chiesto di trasformare la celebrazione dell’anniversario in una giornata in ricordo “delle vittime di tutte le guerre”, inclusa quella “contro il coronavirus”. Due giorni prima del 25 aprile 2020, il Secolo d’Italia – ex organo del Movimento sociale italiano e ora legato a FdI– aveva ribadito sul suo sito (in un articolo, guarda caso, nel frattempo scomparso) il disappunto per la celebrazione dell’Anniversario della Liberazione e, soprattutto, per la prevista deposizione delle corone di fiori davanti a lapidi o monumenti dedicati alle persone uccise o deportate.

Queste “forme di celebrazione” sarebbero state discriminanti e l’Anpi – definita “un’associazione che ha la sola funzione di fare propaganda ideologica” – godrebbe di privilegi. Il fatto è che La Russa, d’ora in poi, come numero 2 dello Stato, dovrà partecipare, assieme ad altri rappresentanti delle istituzioni, almeno a una delle future commemorazioni del 25 aprile. In quelle occasioni potrebbe mettere in pratica quello che suggeriva il Secolo d’Italia due anni e mezzo fa. Come? Cantando a squarciagola, nel tentativo di “sovrastare con l’Inno di Mameli’ il canto di ‘Bella ciao’ dai balconi”.

Non solo. Sempre La Russa il 21 aprile 2010, quando era ministro della Difesa, durante Porta a porta, sulla Rai, se la prese con gli Imi (gli Internati Militari Italiani), i 650.000 soldati che, dopo l’8 settembre 1943 e la nascita della Repubblica di Salò, finirono nei campi di concentramento nazisti, con la “benedizione” dei fascisti, perché non avevano accettato di indossare le divise repubblichine. L’allora ministro disse che i nostri militari, catturati dai nazifascisti, avevano fatto “una scelta di comodo”, per non “rischiare la vita”. Così “di comodo” che più di 80.000 di quei soldati – protagonisti (con i partigiani e i soldati del Corpo italiano di Liberazione) della Resistenza contro Hitler e Mussolini – morirono di stenti o furono assassinati. In quell’occasione La Russa si beccò, tra le altre reazioni, una dura lettera di protesta sottoscritta dal presidente dell’Associazione nazionale ex Internati, il tenente colonnello Raffaele Arcella (1920 – 2021).

Come si comporterà d’ora in poi il presidente Ignazio Benito Maria La Russa? Si spera con più tatto, diciamo così. Non ci aspettiamo, ovvio, che post-fascisti e antifascisti possano mettersi d’accordo su un’interpretazione comune del passato. Però non si può neppure accettare che il passato venga violentato: anche La Russa, ora che rappresenta in teoria tutti gli italiani, dovrebbe riconoscere che dalla parte giusta c’erano gli antifascisti, perché si battevano per la democrazia. La stessa democrazia di cui gode lui e che dovrebbe rappresentare.

Vedremo. Nell’attesa viene in mente la risposta dell’ex partigiano Vittorio Foa all’ex ufficiale della Decima Mas Giorgio Pisanò, neofascista convinto e senatore del Msi, che gli aveva chiesto di stringergli la mano in segno di riappacificazione: “È vero, abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore. Se avessi vinto tu, io sarei ancora in carcere”.

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