Secondo l’agenzia Bloomberg il gruppo bancario svizzero sta cercando un investitore a cui cedere una quota dello spin-off di alcune sue attività di investment banking, tra cui quelle di advisory, nell’ambito delle azioni che saranno annunciate con il piano di ristrutturazione. Le risorse, secondo indiscrezioni, dovrebbero servire a fornire capitale, finanziare le assunzioni ed evitare una fuga dei talenti. Per la nuova società, i cui ricavi arrivano principalmente dagli Usa, Credit Suisse sta valutando di riproporre il nome First Boston, la banca d’affari americana che gli svizzeri rilevarono tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90. La banca svizzera intanto ha messo in vendita l’hotel a cinque stelle di Zurigo Savoy, operazione da cui conta di ricavare circa 400 milioni di franchi (411 milioni di euro).

Archiviato il weekend di fuoco della scorsa settimana le acque intorno al colosso bancario elvetico Credit Suisse si sono quietate ma i problemi non sono scomparsi. Per 48 ore sono circolate voci addirittura di un imminente default, voci orchestrate ad arte da alcuni profili social ma innescate da dati effettivamente poco incoraggianti. Come ricostruito dal Financial Times il dilagante nervosismo ha costretto i dirigenti della banca a passare il sabato e la domenica al telefono per rassicurare gli investitori. Tra i fattori di preoccupazione c’è la corsa dei prezzi dei Credit default swap sulla banca, prodotti assicurativi che consentono a chi ha investimenti in titoli di uno stato o di un’azienda di assicurarsi contro il suo fallimento.

I Cds sono però acquistati, autonomamente, anche con una finalità secondaria, prettamente speculativa e questo tende ad amplificare (e in parte distorcere) i segnali sulla rischiosità dell’investimento. Come messo in evidenza da alcuni esperti i valori non erano comunque tali da lasciar suppore una condizione di grave rischio. Nelle prime ore di contrattazioni di lunedì 3 ottobre le azioni di Credit Suisse sono però arrivate a perdere il 12%, i rendimenti delle obbligazioni sono saliti, i prezzi dei Cds cresciuti ancora. Poi è prevalso un atteggiamento più ragionato, il titolo ha finito per chiudere la seduta in positivo, favorito anche dal buon umore che stava dilagando sui mercati suggestionati dall’ipotesi di un atteggiamento più morbido da parte delle banche centrali.

Il travaglio della banca svizzera però è lontano dalla conclusione. Oggi i Cds quinquennali vengono scambiati a circa 360 punti base, 160 in più rispetto a metà settembre. Quelli ad un anno hanno raggiunto i 600 punti. Il prossimo 27 ottobre il gruppo presenterà il piano industriale che dovrebbe rispondere ai dubbi sulle strategie per il futuro. I timori riguardano soprattutto dove e come Credit Suisse troverà i soldi necessari per finanziare la sua ristrutturazione, a maggior ragione in una fase in cui i suoi titoli azionari galleggiano sui minimi storici, avendo accumulato da inizio anno una perdita del 53%. Un eventuale, nuovo, aumento di capitale rischia di essere estremamente diluitivo per chi le azioni già le possiede. Le rassicurazioni dell’amministratore delegato della banca Ulrich Koerner sono servite ma fino ad un certo punto. Esclusi gli scenari più gravi, le inquietudini rimangono.

Un segnale preoccupante in vista dall’appuntamento di fine ottobre è proprio l’esodo di manager di alto livello che sta interessando la banca. Pochi giorni fa Young Jin Yee, vice responsabile per della divisione asiatica di wealth managment ha rassegnato le dimissioni dopo vent’anni di servizio. Il wealth management, ossia la gestione dei grandi patrimoni di famiglia, è il comparto su cui, secondo molti analisti inclusi quelli di Jp Morgan, la banca svizzera dovrebbe puntare maggiormente, disimpegnandosi invece dall’investment banking, la parte più problematica del gruppo. Nell’ultimo mese 7 private banker hanno lasciato la filiale di Hong Kong e poco tempo fa il gruppo elvetico ha perso anche uno dei responsabili del settore bancario globale e il vice responsabile della divisione fusioni e acquisizioni asiatica.

Nei giorni scorsi una divisione di Credit Suisse specializzata nel ruolo di intermediario per il prestito di azioni è stata costretta ad annullare alcune operazioni perché investitori che conferivano i titoli si sono tirati indietro, per timori sull’affidabilità della banca. Sono stati ritirati circa il 5% dei titoli, non una quota tale da mettere in difficoltà l’operatività della banca, ma un ulteriore segnale del clima mesto che grava sull’istituto.

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