Nell’ultima settimana di campagna elettorale, Chiara Ferragni torna a prendere posizione sul voto del 25 settembre con delle storie Instagram sul suo profilo da 27,9 milioni di follower, il quale come sempre raggiunge un pubblico ancora più ampio perché i suoi contenuti vengono discussi su tutti i media tradizionali.

Ma gli influencer che parlano di politica, spostano voti? Dipende da come lo fanno. Se lo fanno come la Ferragni, sì.

Ecco come e a chi porta voti l’influencer più nota d’Italia in vista delle elezioni di domenica e, in generale, come funziona l’influencer marketing politico.

Partiamo proprio dalle ultime storie che ha pubblicato Chiara Ferragni, dove scrive che il voto è uno dei pochi strumenti che abbiamo per difendere dei diritti conquistati nel tempo: “Il diritto delle donne all’aborto, il diritto delle persone Lgbt a non essere picchiate, insultate, discriminate per il proprio orientamento sessuale, il diritto dei giovani ad avere un futuro, il diritto di chi soffre a decidere della propria vita, il diritto di un bambino a sentirsi parte di questo Paese anche se figlio di stranieri, sono ragioni per le quali vale votare”.

Poi l’imprenditrice rimarca l’importanza di non astenersi dal voto: “Anche se non ci sentiamo perfettamente rappresentati, anche se siamo delusi, sta a noi scegliere se proteggere ed estendere quei diritti, o abbandonarli nelle mani di chi vuole ostacolarli. È una nostra responsabilità. E non votare significa delegare ad altri ciò che sta a noi decidere. Andate a votare domenica 25 settembre”.

L’invito ad andare a votare è il primo elemento che rende efficace la comunicazione politica della Ferragni.

Il solo attacco a Giorgia Meloni, come fatto a fine agosto in difesa del diritto di aborto che la regione Marche, a guida Fratelli d’Italia, ha ostacolato, non basta a portare voti a qualcuno. Può alimentare l’astensionismo, verso il quale i giovani tendono in modo naturale, ma non porta voti allo schieramento opposto.

Rimarcare l’importanza di recarsi alle urne, come sta facendo, promuove la partecipazione del suo pubblico. Spiegare per quali programmi votare, dà un’indicazione indiretta su chi votare.

Chiara Ferragni non menziona direttamente alcun partito. Allora a chi porta voti?

Il programma che ha elencato nell’ultima storia è quello di +Europa: aborto, eutanasia, diritti Lgbt, ius soli. La settimana scorsa aveva invece condiviso e invitato a “leggere tutto” un post simile dall’account Instagram “apriteilcervello”.

Se il mio occhio è abbastanza allenato, questo profilo è un account ‘unofficial’ del Pd.

Dovete sapere che tutte le forze politiche hanno degli account su Instagram, Facebook e TikTok non ufficiali, ma gestiti dallo stesso team comunicazione del partito, che servono a fare il lavoro sporco al posto delle pagine ufficiali dei candidati. Queste pagine, nel gergo della comunicazione politica in Italia, le chiamiamo semplicemente ‘unofficial’.

Su questi profili a volte vengono pubblicati insulti agli avversari che il leader di partito non posterebbe mai, per non sembrare meno moderato. Spesso, questi insulti, sono diretti perfino a qualche alleato che non sarebbe opportuno attaccare pubblicamente. Vengono poi postati contenuti demagogici che esaltano la figura del proprio candidato. In alcuni casi queste pagine vengono usate per veicolare fake news comode alla narrazione del committente.

Se vedete un account con centinaia di migliaia di follower, dietro al quale c’è un lavoro costante – soprattutto sotto elezioni – e che parla solo di politica, potete stare certi che si tratta di un account ‘unofficial’, dunque gestito dal team di un partito.

Nel caso specifico, l’account condiviso dalla Ferragni (apriteilcervello) mi sembra essere vicino ai democratici perché oltre ad attaccare la Meloni esalta la figura di Letta.

Sono certo che la Ferragni non sappia di aver fatto un favore diretto al Pd, e che lo stesso Pd non l’abbia retribuita per i suoi contenuti, anche perché in questo caso lei avrebbe dovuto dichiararlo. Questo impegno spontaneo (non retribuito) dell’influencer in favore della coalizione di centrosinistra è il secondo elemento di successo della sua comunicazione.

L’influencer marketing in generale funziona meglio delle pubblicità tradizionali proprio perché il consiglio del personaggio è o sembra spontaneo: il consiglio di un’amica, di cui ci si fida, a differenza del parere interessato di chi riceve soldi per fare una pubblicità.

Se un personaggio viene pagato, dovrebbe dichiararlo. Non tutti lo fanno, ma la Ferragni è una che si attiene a questa richiesta dell’Antitrust.

Negli Stati Uniti, nelle campagne elettorali si fa un uso massiccio di micro-influencer pagati. Questo perché il piccolo influencer (di solito sotto i 100mila follower) anche quando pagato è comunque più credibile di un influencer di successo seguito da milioni di persone, dato che ha una community piccola con cui interagisce maggiormente e che non è abituata a vederlo sponsorizzare di tutto, quindi meno diffidente.

Anche i mega influencer, dunque le celebrità dello spettacolo e dello sport, in America sono molto attivi nelle campagne elettorali. Tutti però portano voti a un solo candidato: quello del Partito democratico.

E qui veniamo al terzo elemento di successo – anzi, di sopravvivenza – dell’influencer marketing politico della Ferragni e dei suoi colleghi oltreoceano: va bene solo quando fatto a supporto del centrosinistra.

Idoli del calibro di Brad Pitt, George Clooney, Lady Gaga, Madonna e molti altri hanno sostenuto pubblicamente la candidatura di Joe Biden contro Trump (c’è perfino una voce su Wikipedia con l’elenco delle celebrità che hanno dato il loro endorsement all’attuale inquilino della Casa Bianca).

Il motivo di questo supporto a senso unico delle celebrità americane è quello che ha creato il terribile fenomeno della cancel culture, importato – seppure con meno intensità – anche in Italia.

Il ragionamento dell’establishment è: se ti schieri con la destra, ti schieri contro i diritti. La conseguenza? Vieni “cancellato”, ovvero vieni prima attaccato ferocemente dai media e dai politici progressisti. Di conseguenza vieni massacrato sui social dalla gente comune influenzata da questi. E, come ultimo risultato, vieni licenziato dal tuo lavoro oppure perdi gli sponsor che ti pagavano. Ovviamente non sarai più invitato agli eventi pubblici e considerato per le premiazioni.

La prossima vittima della cancel culture all’italiana sembra essere Laura Pausini, colpevole di non aver cantato “Bella ciao” in tv.

Cosa potrebbe accadere a una star di Hollywood che decidesse di sostenere Trump, o a un artista italiano che invitasse a votare la Meloni? Verrebbe mediaticamente fatto a pezzi e, ciò che è peggio, “cancellato”.

Questo è il lato oscuro dell’influencer marketing politico. Sarebbe bello se la Ferragni, che si schiera sinceramente da una parte – ricordiamo il suo impegno per il ddl Zan prima della campagna elettorale – condannasse la censura a danno dei personaggi che si posizionano dalla parte opposta, oppure che semplicemente decidono di non schierarsi, come ha fatto la Pausini. Questo, sempre in nome dei diritti che difende con passione.

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