“Ho vissuto il calcio come un gioco, un divertimento”. Così Stepahne Dalmat parla del pallone. L’ex Inter ha vestito la maglia nerazzurra tra il 2001 e il 2003 e da molti è considerato un talento che non ha avuto il giusto tributo. “Uno dei calciatori più sottovalutati della storia”, ha detto parlando di lui Daniele Adani, ex compagno di squadra del francese all’Inter e oggi opinionista per la Rai.

In un’intervista al Corriere della Sera Dalmat ha parlato proprio di questo. “Sapevo di avere qualità ma non ero ossessionato dagli obiettivi: diventare un campione, sollevare trofei, entrare nella storia. Mi bastava scendere in campo in uno stadio pieno di gente”. Un pensiero atipico quello dell’ex centrocampista che fuori dal terreno di gioco ha sempre privilegiato una vita tranquilla. “Uscivo poco la sera, tra campionato e Champions League ero spesso in ritiro. Abitavo in via Fatebenefratelli, vicino a Brera e Montenapoleone, due zone che frequentavo. Il mio vizio era un ristorante che serviva un ottimo pesce spada. Sono stato bene a Milano. Oggi vivo a Bordeaux”.

Il 39enne era soprannominato “Joystick”. “È stato Clarence Seedorf a darmelo. Lui per me era un’ispirazione. Alcune mie giocate gli ricordavano quelle che si vedono alla PlayStation. Anche Vieri mi stimava, non capiva perché non venissi convocato in Nazionale, e aveva chiesto a Laurent Blanc di parlare con Zidane per convincere il selezionatore della Francia. Non ho mai debuttato, mi sono fermato all’under 21″. Il periodo calcistico Dalmat ormai se l’è lasciato alle spalle. “Ho investito nel settore immobiliare, affitto appartamenti. Ma sono soprattutto un papà: mio figlio, Aaron, è nato un anno fa. La famiglia è un riferimento. Con i primi stipendi da professionista, al Lens, ho comprato casa ai miei genitori, che ora vivono in Martinica. Ho due fratelli, uno è stato calciatore e ha giocato qualche mese a Lecce. Mi piacerebbe tornare in campo come allenatore di un settore giovanile. Ancelotti è il mio tecnico preferito”.

Il francese ha dovuto anche convivere con un periodo molto difficile. “Ho rischiato di morire. Nel 2017 ho avuto un brutto incidente in moto, a Bordeaux: ho perso il controllo e sono andato a sbattere contro un muro. Sei giorni di coma. Al risveglio, i medici mi avevano detto che rischiavo di non camminare più. Avevo fratturato il bacino, sono stato sottoposto a 25 interventi, le viti tengono insieme le ossa. Ho passato sei mesi su una sedia a rotelle. Ho reagito, fatto riabilitazione, pianto molto e ho avuto paura. Solo i miei familiari lo sapevano. Mi sono sentito solo. Ma alla fine ho vinto la partita, la più difficile, e torno in piedi. In questo caso ho avuto la mentalità del campione”.

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