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“Dirottava i pazienti nella clinica privata ma intascava i soldi delle visite in ospedale”, professore condannato

I giudici contabili della Toscana ha condannato il medico, che insegnava all'Università di Pisa, a un risarcimento da 1 milione di euro.
“Dirottava i pazienti nella clinica privata ma intascava i soldi delle visite in ospedale”, professore condannato
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Prescritto il reato in Cassazione che nel corso dei giudizi era passato da peculato ad abuso d’ufficio, ma per un endocrinologo e professore universitario a Pisa è arrivata una sentenza della Corte dei conti. Il camice bianco che, stando alle contestazioni, dirottava i pazienti in una struttura sanitaria convenzionata e intascava i compensi delle visite. I giudici contabili della Toscana ha condannato il medico, che insegnava all’Università di Pisa, a un risarcimento da 1 milione di euro. Nel verdetto, come riporta La Repubblica, si legge che nel periodo compreso tra il gennaio 2011 e l’agosto 2016 il medico avrebbe intascato i soldi e “occultato il proprio doloso comportamento tra l’altro rendendo false dichiarazioni in sede di instaurazione dei rapporti lavorativi, dichiarando di non versare in situazioni di incompatibilità”. Quindi, stando alle contestazioni, avrebbe mentito sostenendo la liceità della situazione.

Al professore è stata contestata la violazione degli obblighi di servizio perché avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione per “lo svolgimento di attività professionale extra lavorativa ovvero di astenersene, nonché di riversare le somme indebitamente percepite“. L’amministrazione danneggiata da questo comportamento è l’Università di Pisa che lo aveva sospeso. In primo e secondo grado il medico era stato condannato in abbreviato: a 3 anni per peculato e poi in appello un anno e mezzo per abuso d’ufficio, reato caduto in prescrizione. L’accusa era quella di visitare nell’ospedale pubblico i pazienti che poi consigliati a farsi operare nella clinica privata dopo che aveva incassato i soldi senza rilasciare ricevuta. Era stata una lettera anonima alla Guardia di Finanza alla fine del 2003 a innescare l’inchiesta della procura di Livorno.

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