Duecentocinquantuno condanne a morte eseguite nei primi sei mesi dell’anno, una media di una al giorno: la macchina della morte dello Stato iraniano sta tornando ai livelli della metà dello scorso decennio. Di questo passo, in questi giorni il totale delle esecuzioni del 2021, 314, sarà stato ampiamente superato. Mentre scrivo questo post, infatti, è già arrivato a 300. La legislazione iraniana prevede la pena di morte per numerosi reati, tra cui omicidio, traffico di droga, stupro e rapina a mano armata. Atti protetti dal diritto internazionale dei diritti umani come le relazioni omosessuali tra persone adulte e consenzienti, le relazioni extraconiugali e i discorsi ritenuti “offensivi nei confronti del profeta dell’Islam”, così come reati descritti in modo del tutto vago come quello di “inimicizia contro Dio” e “diffusione della corruzione sulla terra”, possono a loro volta essere puniti con la pena capitale.

Le condanne vengono emesse al termine di processi sistematicamente irregolari, in cui vengono utilizzate come prove “confessioni” estorte con la tortura. Il Relatore speciale delle Nazioni Unite sull’Iran ha parlato di “problemi intrinsechi nelle leggi, ciò che significa che nella maggior parte dei casi, se non in tutti i casi, di esecuzione siamo di fronte a una privazione arbitraria della vita”. Secondo i dati raccolti dal Centro Abdorrahman Boroumand per i diritti umani e Amnesty International, la maggior parte delle 251 esecuzioni del primo semestre del 2022, 146, ha riguardato il reato di omicidio. Altri 86 prigionieri sono stati messi a morte per reati di droga per i quali, secondo il diritto internazionale, non dovrebbe essere inflitta la pena capitale. Invece, la strategia iraniana di contrasto al narcotraffico si basa pressoché esclusivamente sulla pena di morte.

Nel novembre 2017, dopo forti pressioni internazionali e il taglio, da parte di vari stati europei, dei fondi destinati alle operazioni antinarcotici, le autorità iraniane avevano intrapreso riforme per cancellare la pena di morte per alcuni reati di droga. Tra il 2018 e il 2020, di conseguenza, le esecuzioni erano diminuite. Nel 2021, tuttavia, sono tornate a salire: almeno 132 (il 42 per cento del totale), un numero cinque volte superiore alle 23 esecuzioni registrate nel 2020. Nei primi sei mesi del 2022 le autorità iraniane hanno compiuto con scadenza regolare esecuzioni di massa nelle prigioni del paese. Il 15 giugno nel carcere di Raja’i Shahr, situato nella provincia di Alborz, sono stati messi a morte almeno 12 prigionieri. Il 6 giugno come minimo altri 12 prigionieri erano stati messi a morte nella prigione di Zahedan, situata nella provincia del Sistan e Balucistan.

Il 14 maggio erano stati messi a morte altri nove prigionieri in quattro carceri: ancora Zahedan, Vakilabad (provincia del Khorasan-e Razavi), Adelabad (provincia di Fars) e Dastgerd (provincia di Esfahan). Dall’inizio del 2022 la direzione del carcere di Raja’i Shahr, che ha uno dei bracci della morte più ampi dell’Iran, ha messo a morte in media cinque prigionieri alla settimana, a volte il doppio. Solo qui, alla fine dell’anno, le esecuzioni potrebbero aver superato quota 200. Il procuratore associato al carcere di Raja’i Shah ha recentemente annunciato di aver scritto alle famiglie di 530 vittimedi omicidio, chiedendo loro di scegliere, entro la fine del marzo 2023, se perdonare l’assassino o chiederne l’esecuzione.

Più volte, infine, il capo del potere giudiziario Gholamhossein Mohseni (un ex ministro dell’Intelligence) e ulteriori alti funzionari della magistratura hanno parlato della necessità di ridurre il sovraffollamento delle prigioni e ciò ha seminato il terrore tra i detenuti. In passato, ondate di esecuzioni erano state precedute da dichiarazioni del genere. Almeno 65 delle persone messe a morte dall’inizio del 2022, ovvero il 26 per cento, appartenevano alla minoranza emarginata dei beluci, che non rappresenta più del cinque per cento della popolazione dell’Iran. Oltre la metà di quelle esecuzioni, 38, hanno riguardato reati di droga. Nel 2022 sono anche riprese le esecuzioni in pubblico: almeno una, ma altri due prigionieri nelle province di Esfahan e del Lorestan sono stati condannati a essere messi a morte pubblicamente. Nel 2020 c’era stata un’esecuzione in pubblico, nel 2019 e nel 2018 erano state 13.

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