Tra due giorni, scatterà l’Earth Overshoot Day, con un giorno in anticipo rispetto al 2021 (Figura 1). A partire dal 28 luglio 2022, l’umanità inizierà a sfruttare le risorse che, in teoria, si sarebbero rese disponibili nel 2023. Noi italiani abbiamo fatto prima: dal 13 maggio viviamo a scrocco rubando le risorse dei nostri nipoti. E se tutta la Terra avesse lo stile di vita del Lussemburgo – anche in materia fiscale? Lo chiedo per un amico – in rapporto alle proprie risorse, dal 14 febbraio tutta la Terra vivrebbe a sbalzo sul futuro dei pronipoti. Non bisogna scomodare i due polli di Trilussa per capire come la diversità sia il sale della Terra. L’effetto pandemia aveva fatto balenare la possibilità che lo sfruttamento del pianeta rallentasse per un certo tempo.

Figura 1

A causa del Covid-19, due anni fa la giornata di “fine anno sostenibile” era slittata al 22 agosto 2020, 24 giorni dopo la data dell’anno precedente. Ma il beneficio pandemico è subito svanito.

Nel 2017, quello che veniva chiamato Ecological Day Debt era caduto il 2 agosto, prima del 28 luglio e ben prima del 10 dicembre, giorno in cui cadde nel 1972. Era l’anno in cui lessi The Limits to Growth: i limiti della crescita. E sul tema delle risorse finite, in particolare quelle idriche, presentai nel 1975 la tesina di laurea, tra lo scetticismo dei commissari che scrutavano con sufficienza quell’opuscolo. La tesi – in ossequio al pensiero accademico dominante – l’avevo scritta su cose ben più serie. Per lungo tempo, l’uomo aveva creduto di poter contare su risorse naturali, sociali e umane infinite. The Limits to Growth, tradotto malamente in italiano con il fuorviante I Limiti dello sviluppo, aprì gli occhi alla mia generazione. Era il rivoluzionario riconoscimento della banale realtà che la famosa fotografia scattata dalla navicella Apollo aveva mostrato a tutti noi: una Terra finita occupa uno spazio finito, le cui risorse sono giocoforza finite. E i vincoli biofisici limitano giocoforza i sistemi socio-economici, inclusa la loro crescita.

Ancora oggi, questo libro rimane una potente espressione dell’idea che la crescita economica può essere limitata da una serie di fattori che interagiscono tra loro, compresi quelli ambientali. Usando rudimentali modelli di simulazione matematica, il gruppo di lavoro guidato da Donella Meadows costruì il primo modello di valutazione integrato, una esplorazione quantitativa dei processi sociali e ambientali e delle loro interazioni. Le dimensioni incluse nel modello erano la popolazione umana, la produzione alimentare, l’inquinamento, l’industrializzazione e il consumo di risorse non rinnovabili.

Questa esplorazione suggeriva che la crescita socioeconomica non solo può essere limitata in modi diversi, ma che i limiti alla crescita possono assumere forme diverse. L’influenza sulla scienza della sostenibilità è stata profonda. Nozioni come quelle di confini planetari e impronte ecologiche per arrivare all’Earth Overshoot Day, devono molto all’idea che i sistemi socio-economici e i sistemi ambientali interagiscono, producendo comportamenti che possono essere a loro volta limitanti.

Le critiche feroci con cui lo studio fu a lungo bersagliato, anche per via della modesta capacità previsionale di quei modelli rudimentali, non ne hanno intaccato il valore.

Ai miei studenti ho spesso mostrato come la curva di crescita della CO2 riportata su The Limits to Growth si sia rivelata, alla prova dei fatti, del tutto verosimile, nonostante altro non fosse che una banale estrapolazione esponenziale. Non conosco previsioni economiche a lungo temine altrettanto precise. In tutti i campi, dall’ecologia politica alla scienza del sistema terrestre, The Limits to Growth ha generato un enorme progresso scientifico in tema di sostenibilità.

Il concetto di sostenibilità non era certamente nuovo: fu introdotto da Adam Smith nel XVIII secolo. Studiosi di varie discipline avevano studiato a fondo i fenomeni fisici soggetti a saturazione e la relazione tra crescita, dimensione e forma. Biologi come D’Arcy Thompson (On Growth and Form, Cambridge University Press, 1917) avevano esplorato la relazione tra crescita e forma, scoprendo come la fisica vincoli la struttura e la crescita degli organismi e delle loro parti. The Limits to Growth, però, introdusse una vera novità: solo la fertilizzazione incrociata tra la ricerca sui limiti alla crescita e sulla scalabilità poteva aprire le porte alla comprensione della complessità della Terra. E ormai sappiamo che, se non affronterà in modo efficace tale complessità, l’umanità pagherà prezzi sempre più cari.

Con questa consapevolezza va affrontata la transizione ecologica. Finché le fonti fossili e fissili di energia saranno un’arma politica, la transizione ecologica sarà uno slogan privo di senso (Figura 2). Come scrisse Stefano Casertano nel 2009 su Limes, “gli Stati Uniti, con l’Arabia Saudita, usarono il prezzo del greggio per mettere in crisi Mosca, ai cui bilanci in crisi erano indispensabili le esportazioni dell’oro nero”. In parole povere, la crisi petrolifera sovietica fu in parte indotta da una deliberata strategia americana, finalizzata a liberare il medio oriente dall’influenza russa.

Figura 2

Quando si ripetono, le tragedie diventano farse: se continuerà a lungo, la guerra russo-ucraina accelererà la corsa dell’Earth Overshoot Day della Terra. Il traguardo di San Valentino, Earth Overshoot Day lussemburghese del 14 febbraio, non è poi così lontano. E gli innamorati del fossile e del fissile scalpitano.

Nonostante la cross-fertilizzazione che valorizza il ruolo delle scienze economiche e politiche, proprio il mondo economico è quello più restio ad accogliere la lezione di The Limits of Growth. Si continua a identificare il progresso dell’umanità con la quantificazione monetaria della crescita economica. Un famoso aforisma di Sir David Attenborough, naturalista e divulgatore scientifico, fratello minore del regista Richard Attenborough, recita: “Chiunque creda nella crescita illimitata su un pianeta finito, fisicamente limitato, o è pazzo o è un economista”.

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