Estate, tutti al mare. Anche se il mare sta sempre peggio e presto ci saranno più plastiche che pesci. Purtroppo, a poco serve, almeno per adesso, la cosiddetta “legge Salvamare” (legge 17 maggio 2022, n. 60) approvata dopo un lungo iter parlamentare con la quasi unanimità delle forze politiche. Come spesso accade quando ci sono queste ampie maggioranze, si tratta, infatti, di una legge che, nella stesura definitiva, dice ben poco di concreto.

In sostanza, essa si compone di 16 articoli eterogenei che riguardano: a) la gestione dei rifiuti pescati accidentalmente nelle acque (dalle reti durante la pesca e occasionalmente con qualunque altro mezzo) o volontariamente raccolti anche tramite apposite campagne di pulizia; b) norme in materia di gestione delle biomasse vegetali spiaggiate; c) misure sperimentali per la cattura dei rifiuti galleggianti nei fiumi; d) campagne di sensibilizzazione per la salvaguardia del mare; e) educazione ambientale nelle scuole per la salvaguardia dell’ambiente; f) un riconoscimento ambientale per imprenditori ittici “virtuosi”; g) criteri generali per la disciplina degli impianti di desalinizzazione; h) previsione di un decreto governativo per disciplinare acquacultura e piscicoltura; i) istituzione di un tavolo interministeriale di consultazione permanente per il contrasto all’inquinamento marino e il monitoraggio della situazione.

In realtà, si tratta in gran parte di buoni propositi, spesso molto generici, la cui attuazione è totalmente rimessa a futuri atti e decreti, sempre che non “ne derivino nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. E, quindi, per adesso, questa legge il mare lo salva poco.

A livello operativo, i punti più importanti immediatamente rilevanti riguardano i tanti rifiuti “pescati” in mare accidentalmente dai pescherecci, che oggi vengono ributtati i mare, i quali vengono adesso equiparati a quelli prodotti dalle navi, e qualificati come rifiuti “urbani”, con l’obbligo di conferimento agli impianti portuali di raccolta, ma soprattutto, con la individuazione dei sindaci come responsabili per garantire il loro smaltimento a terra. E pertanto, è auspicabile che al più presto questi sindaci predispongano un chiaro e semplice percorso per chi riporta a terra rifiuti dal mare, evitando al massimo ogni appesantimento burocratico ed agevolando la immediata ricezione dei rifiuti stessi. E che, soprattutto, nello stesso contesto, vengano predisposti adeguati incentivi per i pescatori, tenendo conto che oggi per loro recuperare e trasportare a terra i tanti rifiuti che restano impigliati nelle loro reti costituisce solo un notevole intralcio alla normale attività di pesca, senza ricavarne alcun beneficio.

Su questo, purtroppo, la legge non aiuta molto in quanto si limita a stabilire che “con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro della transizione ecologica, da adottare entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate misure premiali, ad esclusione di provvidenze economiche, nei confronti del comandante del peschereccio soggetto al rispetto degli obblighi di conferimento disposti dal presente articolo, che non pregiudichino la tutela dell’ecosistema marino e il rispetto delle norme sulla sicurezza.”: disposizione del tutto generica dove l’unica cosa certa è la esclusione di provvidenze economiche. Né ci sembra che possa rimediare l’art. 11, comma 1, secondo cui in questi casi ai pescatori virtuosi può essere attribuito un “riconoscimento ambientale attestante l’impegno per il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità dell’attività di pesca da essi svolta”.

Ai nostri pescatori, già alle prese con il caro gasolio, serve qualcosa di più di un semplice “riconoscimento” per non ributtare in mare i rifiuti pescati accidentalmente.

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