È il capodanno del 2021, pochi giorni prima, precisamente il 26 dicembre, Pietro Tumminia è uscito di prigione e per il mandamento di Altarello le cose sembrano mettersi bene, o quasi. “Bell’anno questo, compà, finalmente ci siamo riuniti tutti”, commenta Daniele Formisano, incontrando Pietro Tumminia, che si rivela meno soddisfatto: “Manca ancora qualche altro fratuzzo”. Si attende per festeggiare per bene che esca ancora qualche fratello, perché fuori e dentro le carceri il controllo mafioso sul territorio resta intatto, solo interrotto da pause, più o meno brevi, in cui i boss vengono temporaneamente sostituiti. Le indagini della squadra Mobile di Palermo, guidata da Marco Basile, e coordinate dal capo della Dda Polo Guido e dai pm Giovanni Antoci e Dario Scaletta, hanno permesso di seguire la continuità del potere esercitato dai boss e di ricostruire l’organigramma delle famiglie mafiose del mandamento della Noce-Cruillas, all’interno del quale ricadono anche i mandamenti di Malaspina ed Altarello. Indagini che hanno portato stanotte all’arresto di 9 persone considerate parte del mandamento e il sequestro di un parcheggio a pagamento nel quartiere Noce, che risulterebbe riconducibile formalmente ad un prestanome ma di proprietà del boss di Alterello.

In attesa della scarcerazione di Tumminia, per esempio, a reggere il controllo mafioso è proprio Formisano, ma poi quando il boss esce è pronto a festeggiare, perché “chiunque si mette di lato”. Dall’affiliazione mafiosa d’altronde si esce soltanto in due circostanze: la morte o la collaborazione con gli inquirenti, quel pentimento che diventa una macchia indelebile per chi da quel momento verrà definito dai mafiosi come “infame. “Subito dopo la sua scarcerazione, Tumminia dava subito prova non soltanto del suo immediato ricollocamento ai vertici della famiglia mafiosa di Altarello, favorita dalla incondizionata fedeltà dei suoi storici sodali Castelluccio e Formisano, ma anche della sua influente autorità riconosciutagli all’interno mandamento mafiosa Noce-Cruillas”, riporta il giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto. E continua: “Poco dopo essere uscito di prigione, Tumminia, interveniva nelle dinamiche riguardanti il controllo del traffico di stupefacenti gestito dalla famiglia mafiosa della Noce, dimostrando di poter imporre la sua autorità mafiosa, anche oltre i confini e le competenze del suo ruolo di capo della famiglia di Altarello, senza che detta autorità venisse posta in dubbio dagli altri sodali”.

La prigione non è, quindi, che un passaggio, una delle fasi della vita dell’organizzazione che pianifica tutto, soprattutto il mantenimento in carcere dei “cumpa’”. “Devi capire che io oltre ad una moglie, un figlio ed una attività ho tanti figlioletti, tanti figlioletti…, piccoli, piccoli”, così spiega Paolo Castelluccio, tra gli arrestati di oggi, in una conversazione intercettata dalla squadra mobile di Palermo. I figlioletti “piccoli, piccoli” sono – secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – i detenuti in carcere da mantenere. Dal carcere, poi, c’è chi riesce ad ottenere un permesso di cinque giorni per tornare a casa e approfittarne per gestire gli “affari”, come nel caso di Felisiano Tognetti che uscito dal carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, nel Messinese, tornava a Palermo per riunirsi con Guglielmo Ficarra boss del quartiere Noce. Un modo d’altronde per aggirare il controllo dello Stato era stato quello di farlo assumere come repartista al minimarket di via La Mantia, grazie a questa assunzione Tognetti otteneva, infatti, la libertà vigilata. Ma era solo una copertura e il minimarket sarebbe diventato poco dopo il luogo di incontro con altri affiliati: “E tu rompigli le corna u Truzzu. Appena sbaglia, tu rompigli le corna. Non sei all’altezza?”, questo era il consiglio dato da Tognetti a chi si era rivolto a lui per chiedere il permesso di usare violenza per un torto subito. Tognetti però doveva rimettere tutto al suo capo Guglielmo Ficarra che a sua volta doveva fare riferimento a Seidita per potere gestire il traffico di stupefacenti assieme al figlio. Era, infatti, Carmelo Giancarlo Seidita il capo mandamento del quartiere Noce-Cruillas, gestione che aveva riacquisito anche lui dopo la scarcerazione, di nuovo interrotta perché tornato in carcere lo scorso maggio: a lui Tognetti aveva dovuto sottostare nonostante scalpitasse per non seguire le regole.

Una gestione del territorio mantenuta grazie anche al “giocattolo”, così veniva infatti chiamato in un’intercettazione lo spaccio di stupefacenti. “Se il giocattolo non viene mantenuto buono si rompe”, così parlano preoccupati dei debiti accumulati nei confronti di un fornitore: “Qualche centomila”, è questo il conteggio fatto in una riunione tra i fratelli Dario e Gianluca Albamonte con Formisano, tutto poi riportato a Salvatore Cinquemani. Il “giocattolo”, dunque, si stava per rompere e andava ripreso. Ma al fianco del commercio di stupefacenti, c’erano pure i proventi delle estorsioni. È qui che le indagini svelano l’attività estorsiva di lungo corso di Paolo Gulotta, incensurato, titolare di una falegnameria ad Altarello, nonché vicepresidente del Consorzio autonomo siciliano degli Artigiani. Un artigiano insospettabile che – da quanto emerge dalle indagini – era dedito all’attività estorsiva da lungo tempo: “Sempre mille euro ha dato, hai capito?”, riferiva lui stesso agli affiliati, parlando di un commerciante: “Cinquecento Romano, Franco Romano. Mille euro il “ferraro” (fabbro, ndr) che c’è alla Zisa, ‘nfacci (di fronte, ndr).. la zisa”, così riferiva Gulotta a Paolo Castelluccio in una conversazione intercettata dalla squadra mobile il 24 dicembre del 2020. Ma nessuno dei commercianti coinvolti ha denunciato l’estorsione subita.

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