“Cosa posso dire di Harrison? È davvero Indiana Jones”. Steven Spielberg dixit. Ottant’anni proprio oggi, Harrison Ford è nato il 13 luglio 1942 a Chicago e la sua vita reale non differisce poi così tanto da quella del personaggio (o meglio dei tre personaggi: Rick Degard, Indiana Jones e Han Solo) che più di altri l’hanno reso famoso.

L’avventura, il pericolo, il rischio, fanno parte della sua vita: ne è uscito sempre vivo, magari un po’ malconcio, ma vivo, dalle decine di incidenti di set (e non di set) che ha avuto nel corso della sua vita: si è strappato un legamento del ginocchio durante le riprese di uno dei trailer de Il fuggitivo (’93), il film di Andrew Davis in cui ha preso il posto di Alec Baldwin che aveva rifiutato il ruolo di Richard Kimble; ha confessato, nel ’93, a David Letterman, di avere alcuni denti falsi perché gli originari se li era spezzati cadendo su una pistola nel corso di un piccolo ruolo acrobatico in tv a inizio carriera. Ha avuto numerose disavventure, essendo un pilota sia di aerei che di elicotteri: per esempio, il 22 agosto ’87, era stato costretto a un atterraggio di emergenza nel Maine mentre volava con Clint Eastwood e Sondra Locke e il 5 marzo 2015 un altro atterraggio emergenza su un campo da golf della California con il suo Ryan PT-22 Recruit (se la cavò con una frattura al bacino e una caviglia rotta); ha anche soccorso, pilotando un elicottero, un escursionista disidratato (è membro onorario del consiglio dell’organizzazione dell’aviazione umanitaria Wings of Hope).

Oggi possiede decine di aerei privati. Eppure aveva cominciato l’addestramento al volo negli anni 60, quando, squattrinato, recitava, a metà anni 60, come figurante in film come Alle donne piace ladro (con attori già consolidati come James Coburn) o Lul vuol dire amore? (con Jack Lemmon e Peter Falk, già famosi), tant’è che Ford potrà svolgere appieno l’attività di volo solo a 52 anni, già divo di Hollywood – che oggi può permettersi di donare allo Stato, come riserva naturale, una parte del suo ranch a Jackson, in Wyoming. Eppure è nato da una famiglia relativamente modesta: i suoi nonni materni erano emigranti ebrei bielorussi.

Nel ’67 era apparso come Harrison J. Ford nel western Assalto finale, di Phil Karlson e il non accreditato Roger Corman, perché era ancora vivo il ricordo di un omonimo attore, protagonista del cinema muto dal 1915 al 1932, anno in cui, come tanti colleghi, abbandonò il cinema per l’avvento del sonoro.

Fra i suoi oltre cento film (compresi i tv movies) i memorabili sono tanti: ovviamente Blade Runner (’82) di Ridley Scott (ha recitato, 75enne, anche nella versione del 2017 di Denis Villeneuve); i vari Star Wars, dal primo del ’77, di Lucas, e seguenti, gli Indiana Jones di Spielberg (il più recente, nel 2008, a 66 anni), il Frantic (’88) di Roman Polansky che, impossibilitato per i noti motivi giudiziari a varcare i confini degli Usa, “delegò” Ford (che glielo portò personalmente a Parigi) a ritirare in vece sua l’Oscar per la regia nel 2003.

Non vanno però dimenticate le sue interpretazioni de Il fuggitivo (’93) di Andrew Davis, Witness di Peter Weir dove Ford è candidato all’Oscar come miglior attore nel 1986 e il Golden Globe alla carriera nel 2002; la partecipazione nei panni di uno studente (ancora non conosciuto, non appare nei titoli) a Zabrinky Point (’70) di Michelangelo Antonioni e poi, nel ’73, in American Graffiti dove impersona Bob Falfa (il tipo che porta via in auto Laurie Henderson alias Cindy Williams dopo il litigio con il boyfriend) e dove Harrison incontra Lucas che, quattro anni dopo, lo porterà al successo internazionale con Star Wars.

Lo ritroviamo anche in Apocalypse now (’79) di Francis Ford Coppola, come un colonnello che, non a caso, si chiama Lucas come omaggio al regista che in un primo tempo avrebbe dovuto dirigere il film dopo aver redatto una prima sceneggiatura scritta con John Milius.

E poi ci sono centinaia di aneddoti che riguardano Ford e che hanno riempito i news magazine americani. Ricordo solo quello relativo alla mitica scena de I predatori dell’arca perduta (’81) quando Harrison che – si dice – soffrisse nei giorni delle riprese al Cairo di dissenteria, durante un attacco irrefrenabile avrebbe chiesto a Spielberg se la scena che stava girando potesse essere accorciata per consentirgli una fuga in bagno. Il regista acconsentì, a patto che l’attore avesse estratto il revolver e sparato al suo avversario. Così fu e ne nacque la scena in cui l’arabo in nero oscilla minacciosamente la scimitarra e Indiana lo fredda con un colpo secco di pistola e se ne va (alla toilette). Indiana è oggi un monumento, se si pensa che la sua giacca e il suo cappello Fedora sono in esposizione al prestigioso Smithsonian Institution di Washington.

Ai ricercatori di chicche segnalo una caccia all’Harrison Ford in due vecchie serie tv uscite anche in Italia: Ironside (’67) con Raymond Burr post Perry Mason, qui ex-capo della polizia di San Francisco paralizzato e costretto su una sedia a rotelle, e Il virginiano (’62) dove troverete guest-star eccezionali. In quel periodo, deluso per le particine, Ford era tornato a fare il suo mestiere iniziale: il falegname (non smetterà mai di farlo, come hobby, neppure quando diverrà una star). E, nonostante abbia interpretato il presidente degli Stati Uniti (in pericolo) in Air Force One (’97) di Petersen, pur andando spesso a giocare a golf con Bill Clinton, Harrison Ford si è sempre dichiarato un americano contrario all’eccessiva libertà nell’acquisto delle armi. Ottantenne, ha ancora alcuni film nel cassetto fra cui un ennesimo (il quinto) Indiana Jones affidato a James Mangold.

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