A una settimana dal trentennale della strage di via D’Amelio non c’è ancora nessun colpevole per il depistaggio delle prime indagini, causato dalle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino. Al termine del processo di primo grado, il Tribunale di Caltanissetta ha fatto cadere l’aggravante mafiosa nei confronti di Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, i tre ex poliziotti del pool stragi comandato dal prefetto Arnaldo da Barbera, imputati di calunnia per aver indotto il falso pentito a mettere a verbale bugie e ad accusare ingiustamente degli innocenti, che poi furono condannati all’ergastolo per la strage. Come risultato, i reati contestati a Bo e Mattei sono stati dichiarati prescritti, mentre Ribaudo è stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”. Bocciata, dunque, la tesi della procura di Caltanissetta, che parlava di “un depistaggio gigantesco” e “inaudito” che “ha coperto alleanze mafiose di alto livello” e aveva chiesto condanne a pene altissime. La sentenza è arrivata dopo quasi dieci ore di camera di consiglio: la corte, presieduta da Francesco D’Arrigo, si era ritirata alle 10:45. Il processo durato è quasi quattro anni e cento udienze: era iniziato, infatti, il 5 novembre del 2018.

A quanto è possibile capire dal dispositivo, i giudici hanno ritenuto che almeno Bo e Mattei fossero consapevoli delle false accuse di Scarantino, ma che non abbiano agito allo scopo di favorire Cosa nostra. Il ragionamento, però, diventerà chiaro solo con la pubblicazione delle motivazioni. Il Tribunale ha anche trasmesso alla Procura gli atti delle dichiarazioni rese a processo da Scarantino “per le valutazioni di competenza in ordine all’eventuale esercizio dell’azione penale” nei suoi confronti per il reato di calunnia. “Significa che anche in questo processo Scarantino è stato ritenuto un calunniatore come in tanti processi precedenti e Ribaudo è stato assolto. Il fatto che sia stata dichiarata la prescrizione non significa affatto che siamo in presenza di elementi univoci sulla responsabilità di Bo e Mattei. Dovremo analizzare le motivazioni per capire il percorso dei giudici”, dice l’avvocato Giuseppe Seminara, difensore di Mattei e di Ribaudo. Trasmessi con l’ipotesi di falsa testimonianza anche gli atti relativi alle deposizioni dei poliziotti Maurizio Zerilli, Angelo Tedesco, Vincenzo Maniscaldi e Giuseppe Di Gangi.

Presenti in aula due dei tre figli del giudice Borsellino: Manfredi e Lucia, mentre non c’era Fiammetta, la figlia minore. Il marito di Lucia Borsellino, Fabio Trizzino, è uno dei legali della parte civile e rappresenta proprio la famiglia Borsellino: “Sarà decisivo leggere le motivazioni per capire gli aspetti che potranno costituire i motivi di appello”, dice. “Il Tribunale non ha accolto la nostra ricostruzione, specie rispetto all’aggravante. Il dato che evidenzio è che Bo e Mattei hanno commesso la calunnia, quindi la prescrizione li salva perchè sono fatti di 30 anni fa, l’elemento della calunnia resta“. “Evidentemente non c’erano gli elementi per assolverli… Diciamo che dopo trent’anni, nonostante il depistaggio, un altro pezzetto di verità viene fuori. Certo, l’effetto dirompente non ci sarà, ma i poliziotti Bo e Mattei non potranno dire che non c’entrano con il reato”, commenta invece Rosalba Digregorio, legale di Gaetano Murana, che venne condannato ingiustamente all’ergastolo sulla base delle dichiarazioni di Scarantino (la sua storia è nell’ultimo numero di Fq MillenniuM). Tra gli imputati invece erano presenti solo Ribaudo e Mattei, mentre Bo ha deciso di non presentarsi: “È una sentenza che non ci soddisfa perchè riteniamo che i nostri assistiti sono completamente estranei ai fatti contestati. Leggeremo le motivazioni e capiremo il da farsi”, ha detto il suo avvocato Giuseppe Panepinto. Questo è il quinto processo che si celebra su fatti relativi alla strage di via d’Amelio: nella sesta puntata del podcast Mattanza vengono ricostruite tutte le fasi del depistaggio delle indagini.


Le richieste della procura – Al termine della requisitoria il nuovo capo della procura nissena, Salvatore De Luca, aveva chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Bo, e nove anni e mezzo per Ribaudo e Mattei. Erano accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avete favorito la mafia. Secondo l’accusa, hanno costruito a tavolino una falsa verità sull’attentato costata la condanna a otto persone innocenti. I poliziotti, secondo i pm, hanno costretto, anche con la violenza, personaggi come Scarantino, piccolo spacciatore senza legami con la mafia, ad autoaccusarsi della strage e a incolpare persone estranee all’attentato. Per i tre imputati era stata chiesta anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. “Hanno avuto molteplici condotte e tutte estremamente gravi che rendono tangibile il grado di compenetrazione nelle vicende, avete ulteriori elementi che provano la sussistenza di questo elemento, la condotta che caratterizza l’illecito. Non è una condotta illecita di passaggio ma che dal primo momento fino all’ultimo si ripete e si reitera”, ha detto il pm Stefano Luciani – che ha rappresentato la pubblica accusa insieme a Maurizio Bonaccorso – durante la requisitoria. Per l’accusa “è dimostrato in maniera assoluta il protagonismo del dottor Mario Bo sulle false dichiarazioni di Vincenzo Scarantino e nella illecita gestione di Scarantino nella località protetta”. E ancora: “C’era una fiduciarietà del rapporto tra i tre imputati e Arnaldo La Barbera, che rende concreta l’ipotesi che abbiano avuto la reale rappresentazione degli scopi sottesi delle condotte poste in essere”. All’epoca dei fatti La Barbera guidava la Squadra mobile di Palermo, prima di essere promosso al vertice di un gruppo speciale creato per indagare sulle stragi: si chiamava “gruppo Falcone Borsellino”. Secondo l’accusa è stato La Barbera, morto nel 2002 a causa di un tumore, il dominus del depistaggio: i tre poliziotti imputati erano suoi uomini di fiducia. Per la Procura “ci sono elementi che dimostrano convergenze che certamente ci sono state nella ideazione della strage di via D’Amelio tra i vertici e gli ambienti riferibili a Cosa nostra e ambienti esterni ad essa”, ha aggiunto sempre Luciani nel suo atto d’accusa. Durante la requisitoria il pm ha parlato anche dell’agenda rossa del giudice Borsellino, che non venne più ritrovata dopo la strage: “Se sparizione c’è stata, non fu di interesse di Cosa Nostra ma da collegare a interessi estranei”.

La difesa dei tre poliziotti – Di tutt’altro avviso le difese dei tre imputati. Nel corso delle arringhe difensive, gli avvocati avevano parlato di un “castello di menzogne” che sarebbe “crollato miseramente”, con “ricostruzioni romanzesche”, “accuse infamanti” e “illazioni” della Procura. Il tutto “senza alcuna prova. Zero”. “Menzogne” che hanno provocato “schizzi di fango” e “una gogna mediatica” per i tre imputati, nel processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio ma anche “sui magistrati” che indagarono subito dopo la morte di Borsellino. Ha usato queste parole l’avvocato Panepinto, legale del poliziotto Mario Bo, che ha elencato “le illazioni dell’accusa”. Il legale ha sottolineato che sì, che sulla strage di via D’Amelio c’è stato “il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana“, come dice anche la Cassazione, “ma non ad opera dei tre poliziotti imputati o di magistrati e uomini dello Stato”, perché gli autori del depistaggio sarebbero stati, secondo la difesa, “tre balordi”, cioè i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta. Alla fine della sua arringa Panepinto si è appellato alla corte concludendo la sua arringa: “Il Tribunale non si piegherà alle pressioni mediatiche, ai libri, alle trasmissioni televisive e che farà una valutazione serena. Sulla base di quegli elementi, noi chiediamo una sentenza di assoluzione che restituisca agli imputati la dignità che meritano e ora si trovano in questa situazione, senza una valida motivazione”.

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