Qualcosa è appena esploso a nord della città, in via Mariano D’Amelio. È domenica 19 luglio del 1992 e se a Palermo esplode qualcosa in pochi pensano a un incidente, come una caldaia difettosa. Dopo la strage di Capaci sono tanti quelli che pensano subito a una bomba. E se a Palermo è esplosa una bomba, vuol dire che dopo Giovanni Falcone hanno ammazzato pure Paolo Borsellino. Non si capisce ancora quanti sono i morti, se ci sono sopravvissuti: in via d’Amelio le fiamme sono ancora alte e i cadaveri delle vittime ancora a terra quando qualcuno si muove tra le lamiere delle auto carbonizzate. “Era gente in giacca e cravatta dei servizi, dopo dieci minuti ne ho visti un paio lì che gironzolavano”, ha raccontato Francesco Paolo Maggi, uno dei primi poliziotti ad arrivare sul luogo della strage. A Palermo fa caldissimo, c’è appena stata una strage e lui sostiene di aver incontrato degli strani tipi in giacca e cravatta. “Avevano tutti lo stesso abito, dopo dieci minuti che era avvenuto il fatto erano lì, belli freschi, proprio senza una goccia di sudore… come se fossero stati dietro l’angolo, non lo so…da chi hanno appreso la notizia questi? , ha continuato Maggi in una delle sue deposizioni in aula.


Le due ultime puntate del podcast – Trent’anni dopo non si conosce ancora l’identità di quegli uomini in giacca e cravatta che si muovevano sul luogo della strage subito l’esplosione. Come ignota è rimasta la fine che ha fatto l’agenda rossa di Paolo Borsellino, quella che il giudice aveva cominciato a usare subito dopo la morte dell’amico Falcone: secondo numerosi testimoni su quel diario il giudice annotava i suoi incontri, il risultato dei suoi interrogatori, i ragionamenti e gli spunti investigativi che stava seguendo e chissà cosa altro. E’ dedicata ai misteri dell’agenda rossa la nuova puntata di Mattanza, il podcast sulle stragi del ’92 prodotto dal Fatto Quotidiano. Vengono pubblicati oggi, infatti, altri due episodi che chiudono la serie: tutte le 8 puntate sono disponibili gratuitamente su ilfattoquotidiano.it, su Spotify, Apple podcast e Amazon music.

I servizi sul luogo della strage – Il primo depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio non è quello organizzato con le dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino. Prima c’è chi si muove in prima persona direttamente sul luogo della strage. A raccontarlo non è solo Maggi, ma anche un altro poliziotto che è tra i primi ad arrivare in via d’Amelio: Giuseppe Garofalo. “Ho un contatto con una persona, che mi chiede dalla della valigia, della borsetta della dottore. Io chiedo a questo signore chi e perché sta lì e lui dice di appartenere ai servizi”. Garofalo non si ricorda se quell’uomo ha chiesto informazioni sulla borsa o se addirittura ce l’aveva già in mano. Quindi subito dopo che Borsellino è stato fatto a pezzi ci sono una serie di uomini ben vestiti che vanno a caccia della sua valigetta: chi sono? Davvero sono uomini dei servizi segreti?

L’agenda rossa, la scatola nera della Repubblica – Dopo la strage di via d’Amelio i familiari di Paolo Borsellino raccontano che il giudice da qualche tempo non si separava più da quell’agenda con la copertina rossa che gli avevano regalato i carabinieri. L’aveva tirata fuori dopo la morte di Falcone e l’aveva compilata anche nell’ultimo giorno della sua vita, quello trascorso nella casa al mare a Villagrazia di Carini. Poi l’aveva infilata nella sua valigetta di pelle marrone e si era diretto verso casa di sua madre, in via d’Amelio, perché doveva accompagnarla dal medico. Borsellino scende dalla macchina, si dirige verso il portone del palazzo ed è in quel momento che una Fiat 126 imbottita di tritolo esplode. La vialigetta del giudice, lasciata in auto, verrà riconsegnata alla famiglia solo alcuni mesi dopo. A consegnarla ad Agnese Piraino Leto, moglie di Borsellino, e alla figlia Lucia è Arnaldo La Barbera, l’allora capo della squadra mobile di Palermo, l’uomo che secondo le accuse ha costretto Scarantino ad autoaccusarsi della strage. “Mi lamentai subito della mancanza di quell’agenda rossa”, ha raccontato Lucia Borsellino. “Quando chiesi che fine avesse fatto – continua la figlia del magistrato assassinato – mi fu risposto che non c’era e al mio insistere il questore La Barbera disse a mia madre che io probabilmente avevo bisogno di un supporto psicologico perché ero molto provata. Mi fu detto addirittura che deliravo”.


Il fotografo Lannino e lo scatto dimenticato – Che fine ha fatto l’agenda di Borsellino? Per alcuni anni la questione nessuno se lo chiede, a parte la famiglia. Poi dall’archivio del fotografo Franco Lannino spunta un’istantanea. E’ una delle prime fotografie che Lannino aveva scattato appena giunto in via d’Amelio, poco dopo la strage: “Una delle primissime cose che mi si presenta davanti è un ufficiale dei carabinieri che indossava, uno scamiciato azzurro. Gli feci una fotografia… perché lì, appunto, era tutto nero e questa cosa azzurra ovviamente mi colpì molto. Ma questo durò tutto pochi secondi. perché andando ancora più avanti cominciai a vedere i primi cadaveri”, ha raccontato Lannino nel podcast. Dopo aver documentato l’inferno di via d’Amelio, il fotoreporter dimentica completamente di aver fatto quella fotografia a quel carabiniere con lo scamiciato azzurro. Se ne ricorda solo molti anni dopo, quando passa in rassegna il suo archivio per scegliere le foto da digitalizzare. “Quando si trattò di scegliere le foto di via d’Amelio io ricordo che con il lentino, quindi con questa lente di ingrandimento, guardavo una per una le diapositive e i negativi. Finché non mi capita sotto il lentino, quindi sotto il mio occhio, una foto: la foto dell’ufficiale dei carabinieri con quella specie di smanicato azzurro“, ricorda il fotografo. “Scendendo verso il basso – continua – noto che ha qualcosa in mano e lo ingrandisco, mi rendo conto che era una borsa. Ho detto: Cavoli, ma metti che è la borsa di Borsellino“. Quella infatti è proprio la borsa di Borsellino. Quella foto, in pratica, è uno scoop e Lannino fa il suo mestiere, cioè cerca di venderla. Sta per chiudere un accordo con un’importante settimanale, quando riceve una visita della Dia: gli investigatori sono interessati a quella foto perché può essere una traccia per indagare sulla scomparsa dell’agenda rossa.

I giri strani della valigetta di Borsellino – Quando quello scatto riemerge dall’archivio di Lannino fa finire nei guai il carabiniere con lo smanicato azzurro. Si chiama Giovanni Arcangioli e sarà accusato del furto dell’agenda. Accusa dalla quale sarà poi prosciolto. Il carabiniere ha ricordi molto sbiaditi di quel giorno: non sa dire chi gli ha dato quella borsa. Dice solo di averla aperta e di non aver notato nessuna agenda. Le immagini dell’epoca, però, mostrano Arcangioli che, con la valigetta di Borsellino in mano, sembra allontanarsi dal luogo dell’esplosione: sembra andare verso l’uscita di via d’Amelio. Poi quella borsa, non si sa come, ricompare nell’auto blindata. “Non mi ricordo che cosa feci della borsa. Forse ho detto a qualcuno dei miei collaboratori, non superiori, di rimetterla in macchina. Ma non è un ricordo”, ha raccontato in aula Arcangioli, durante l’ultimo processo sulla strage. All’interno del podcast compare la voce di Angelo Garavaglia Fragetta, uno dei fondatori delle Agende rosse, il movimento creato da Salvatore Borsellino per chiedere la verità sulla morte di suo fratello. Da anni Garavaglia studia verbali giudiziari e li sovrappone ai filmati girati in via d’Amelio. Ha realizzato un video che ricostruisce il puzzle delle immagini successive alla strage. Dopo l’esplosione dell’autobomba in via d’Amelio, infatti, la valigetta di Borsellino fa dei giri strani.

La sincronia tra i killer e i ladri dell’agenda – Non si è mai riuscito a capire se le azioni compiute da Arcangioli siano precedenti o successive agli attimi raccontati da Maggi e da Garofalo, quelli in cui in via d’Amelio compaiono gli uomini in giacca e cravatta che dicono di essere dei servizi. L’unica cosa sicura è che dopo la strage l’agenda di Borsellino non si trova più. Chi l’ha sottratta? “L’agenda rossa non poteva essere prelevata dai mafiosi che hanno effettuato l’attentato, era troppo pericoloso e quindi occorreva una perfetta sincronia tra l’azione dei mafiosi e soggetti delle istituzioni che potevano entrare in campo senza destare sospetto”, ragiona Roberto Scarpinato, già procuratore generale di Palermo. “Se Borsellino fosse stato ucciso ma l’agenda rossa fosse finita nelle mani dei magistrati- continua Scarpinato – è chiaro che il piano sarebbe fallito, perché Borsellino avrebbe parlato anche da morto, metaforicamente. Da qui l’esigenza assoluta, non soltanto quella di ucciderlo, ma di prelevare l’agenda rossa”. Borsellino non doveva parlare neanche da morto: dd è così che dopo la strage in via d’Amelio va in onda un’azione che sembra essere stata organizzata a tavolino. E’ un tempismo perfetto quello che si crea tra gli assassini di Borsellino e i ladri della sua agenda. Una sincronia che suggerisce come in via d’Amelio non si sia mossa soltanto Cosa nostra. Chi altro ci fosse oltre ai boss è un mistero ancora oggi irrisolto.

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La mafia continua a minacciare le istituzioni, ma i movimenti civili tengono alta l’attenzione

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