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Brad Pitt soffre di prosopagnosia, ecco cos’è il “grave disturbo neurologico” che affligge l’attore. L’esperto: “È possibile non esser creduti come è successo a lui”

Abbiamo chiesto al professor Giovanni B. Frisoni, Neurologo e Direttore del Centro della memoria degli Ospedali universitari di Ginevra, un approfondimento di questo fenomeno

di Ennio Battista

Brad Pitt ha rivelato di soffrire di un “grave disturbo neurologico” che gli impedisce di riconoscere i volti delle persone, persino di amici e parenti. In un’intervista a GQ, il noto attore americano sostiene di essere malato di prosopagnosia, anche se nessun medico gliel’ha mai diagnosticata. Pitt racconta di esserne malato dal 2103, motivo per cui sono anni che trascorre la maggior parte del suo tempo in casa. Un caso del genere non è un’assoluta novità per il pubblico italiano. Di questo disturbo soffriva infatti anche Luciano De Crescenzo, lo scrittore e regista napoletano scomparso nel 2019. La prosopagnosia è un deficit cognitivo-percettivo, che può arrivare a impedire di riconoscere anche il proprio viso, quando ci si guarda allo specchio o si osserva una nostra foto. Con forti ripercussioni sulla qualità della vita sociale. Esistono due tipi di prosopagnosia: la prosopagnosia acquisita e quella congenita. Il primo tipo è una condizione che un individuo può sviluppare a causa di una lesione dell’area temporo-occipitale dell’emisfero cerebrale destro; il secondo tipo, la congenita, è un disturbo dello sviluppo di questa stessa area. Abbiamo chiesto al professor Giovanni B. Frisoni, neurologo e direttore del Centro della memoria degli Ospedali universitari di Ginevra, un approfondimento di questo fenomeno.

Professor Frisoni, si possono individuare le principali cause di questa patologia?
“La prosopagnosia congenita è un disturbo del neurosviluppo della circonvoluzione fusiforme nell’area temporo-occipitale dell’emisfero cerebrale destro, un’area cerebrale critica per il riconoscimento dei volti. In altre parole, prima della nascita o durante i primi anni di vita, questa regione non va incontro al normale processo di ‘maturazione’. Forme analoghe più note sono per esempio la dislessia e la discalculia congenite, dove le regioni immature sono il cervelletto e il lobo parietale sinistro. In età adulta, di solito la prosopagnosia è una forma acquisita, dovuta a un tumore, un’encefalite, o più frequentemente un ictus da trombosi dell’arteria cerebrale che nutre l’area fusiforme. Quindi, in questo caso siamo di fronte a un sintomo di una lesione di tipo vascolare, tumorale o infettiva; mentre la forma congenita può essere considerata una malattia vera e propria”.

Quanto è diffusa?
“La forma congenita pare colpire fino al 2,5% della popolazione, anche se le stime sono poco precise e affidabili. Il disturbo di riconoscimento di volti di gran lunga più diffuso è quello sviluppato nel corso delle malattie neurodegenerative come la malattia di Alzheimer. È osservazione comune che i pazienti con Alzheimer, dopo anni di malattia, spesso non riconoscono più i familiari, con loro grande frustrazione e sconcerto. Tecnicamente, non si tratta di una vera prosopagnosia perché il disturbo di riconoscimento di volti non è isolato (come nella prosopagnosia), ma è associato a disturbi di memoria, linguaggio, e a disturbo di riconoscimento di oggetti comuni. Se al paziente con prosopagnosia congenita viene evocato il nome della persona il cui volto non riconosce, egli è in grado di rievocare immediatamente le informazioni relative alla persona stessa, le sue abitudini, se è sposato, che lavoro fa, quanti figli ha, ecc. Nel disturbo di riconoscimento di volti dell’Alzheimer, tutte le informazioni relative alla persona sono sbiadite e sfocate, non solo il volto”.

È plausibile quanto dichiarato da Brad Pitt, che si può non essere creduti di soffrirne?
“È certamente plausibile. Basti pensare a quanto tempo e quanta ricerca sono stati necessari per capire che certi ragazzi non sono lazzaroni, ma dislessici. Ciò che mi sembra poco verosimile è che un disturbo congenito si esprima solo in età adulta. Leggendo fra le righe, parrebbe che l’attore americano si sia autodiagnosticato il disturbo navigando su web o parlando con amici; una politica quanto meno discutibile se non francamente pericolosa. Non possiamo escludere che il signor Pitt soffra di qualcosa di molto più banale e frequente, che colpisce molte persone dopo i 50 anni, ossia vedere un viso che siamo sicuri di conoscere, ma di cui non ricordiamo il nome, né dove lo abbiamo incontrato. Non siamo però di fronte a una prosopagnosia, ma a un disturbo dell’accesso alle memorie semantiche associato all’invecchiamento. Nel nostro cervello tutte le conoscenze accumulate nel corso della vita, in pratica il nostro “hard disk”, risiedono nella corteccia cerebrale, uno strato di neuroni spesso 4-5 millimetri che si piega e si ripiega nelle cosiddette circonvoluzioni per utilizzare al meglio lo spazio limitato della scatola cranica. Con il passare degli anni, anche in assenza di malattie neurodegnerative come l’Alzheimer, la corteccia cerebrale va incontro a fenomeni di invecchiamento come accade a tutti gli organi del nostro organismo (pelle, ossa, muscoli, cuore…), con riduzione dell’efficienza del suo funzionamento. Per questa ragione nell’invecchiamento diventa spesso difficile il recupero di informazioni, anche se sono presenti. Tanto è vero che quando succedono fenomeni di questo tipo – simil prosopagnosia – basta un indizio che ci riporti a una persona data che tutta la rete neurale collegata a quella persona si attiva e allora ci ricordiamo chi è, dove lo abbiamo visto o incontrato. E se il giorno dopo incontriamo di nuovo la persona, la riconosciamo immediatamente perché la rete neurale è stata ‘risvegliata’. In una vera prosopagnosia se oggi mi dicono che quel viso è di ‘tizio’, il giorno dopo non lo riconosco di nuovo”.

Sembra non ci siano vere terapie per curarla, ma esistono trattamenti che riducono il disagio?
“Nelle forme congenite non è possibile insegnare ai pazienti a riconoscere i volti perché nel loro cervello la regione che dovrebbe esercitare questa funzione è strutturalmente inadeguata: sarebbe come volere insegnare a volare a un uccello senza ali. Piuttosto, ci sono strategie riabilitative che aiutano a identificare elementi salienti del viso della persona e associarli al nome e alla sua biografia. Per esempio, il neo sulla guancia destra, le labbra sottili, il naso adunco, il timbro della voce, l’altezza, il colore di capelli li associo al nome e quindi riconosco quella persona, anche se continuo a non individuarne il volto. È un apprendimento per associazione di due o più elementi e conoscenze semantiche di un dato individuo. Questi stratagemmi possono essere utilizzati anche nelle forme acquisite, anche se sono generalmente meno efficaci perché siamo di fronte a cervelli non più giovani, con reattività, plasticità e capacità di apprendimento meno efficienti. Vale in ogni caso la pena tentare di apprendere queste tecniche, soprattutto in caso di persone con numerose attività sociali importanti”.

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