Per uno che, per anni, ha sniffato cocaina in quantità industriali, morire a 82 anni è una bella conquista. Ma James Caan, scomparso ieri a Los Angeles, ne era uscito da tempo e aveva ripreso, già alla fine degli anni 80, una già avviata carriera, decisamente folgorante, più forte e determinato di prima. Era entrato nel giro “duro” della polvere bianca nel 1982 (non che prima non ne prendesse…), in seguito a una pesante depressione dovuta anche alla morte, l’anno precedente, della sorella Barbara, colpita da una leucemia fulminante. Tanto da abbandonare la professione di attore per più di cinque anni. Nel 1987 l’amico ed ex compagno all’Università di Hempstead (poi abbandonata) Francis Ford Coppola (nonostante fosse ancora scosso dalla recente perdita del figlio Gian-Carlo, perito a 22 anni in un incidente di motoscafo) volle risollevare l’amico Caan e lo scritturò per I giardini di pietra, per la parte del sergente Clell Hazard, il rigido istruttore di ragazzi da spedire in Vietnam.

Nato nel Bronx il 26 marzo 1940, terzo figlio di un macellaio ebreo di origini tedesche, James, detto Jimmy, cresce nella periferia della Grande Mela, non ama molto studiare e bazzica il Queens. “Al college cambiavo specializzazione ogni due settimane e recitare era l’unica cosa che mi interessasse. Il motivo per cui ho iniziato a fare l’attore era stare lontano dal mercato della carne. Ecco dove ero predestinato: stare con i ragazzi che trascinano manzo tutto il giorno”. Aveva giocato a football, da ragazzo, nella squadra della Michigan State University – per il suo fisico massiccio veniva soprannominato “Shoulders”, ovvero “le spalle”, e per un breve periodo aveva persino abbandonato i set per allenare una squadra minore. Golfista, ma anche sesto dan di karate, aveva studiato arti marziali con il maestro Takayuki Kubota.

Nel ’94 fu persino arrestato (ma poi rilasciato) a Los Angeles per aver puntato una pistola al petto del cantante Derek Lee, detto Doc Rapper, dopo una discussione stradale sfociata in rissa. Il fratello di Caan, Ron, aveva dichiarato a KCAL-TV: “James non è la persona giusta da minacciare”. Inoltre la sua passione per i rodei ha fatto sì che le majors con cui lavorava gli facessero firmare specifici contratti in cui assicurava di non gareggiare nel corso delle riprese dei vari film per paura che potesse ferirsi o, peggio, morire, nel corso delle sue pericolose cavalcate. Insomma, una fama da duro che travalica i confini dello schermo.

Aveva iniziato la carriera cinematografica con un grande regista (a 23 anni, anche se con una particina, neppure accreditato) ovvero con Billy Wilder in Irma la dolce (’63), anche se aveva già partecipato ad alcune serie tv fra cui Gli intoccabili (’62). Ci vorranno ancora dieci anni per consolidarsi star, appoggiato ancora una volta dall’amico Coppola ne Il padrino (’72) e Il padrino 2 (’74), dove in totale prese 70mila dollari, nei panni di Santino “Sonny” Corleone (Coppola aveva lavorato con lui e con Robert Duvall anche in Non torno a casa stasera del ’69). Il regista lucano-americano aveva inizialmente pensato di affidare a Caan il ruolo di Michael Corleone, ma la Paramount (che aveva ipotizzato anche Warren Beatty, Robert Redford e Ryan O’Neal) decise infine di affidarlo ad Al Pacino, anche se allora poco noto.

Nel documentario inglese The Godfather and the Mob (2006), si vede Caan chiacchierare, durante le riprese de Il padrino (nella realtà non nella finzione…) con il boss della famiglia Gambino Carmine Persico detto “Junior”. Persico era sorvegliato dall’Fbi, tanto che Caan venne anche lui attenzionato dai federali.

Varie scene ispirate a Il padrino con Caan in versione cartoon sono state parodiate ne I Simpson. In realtà, Caan ha spesso affermato che, al di là della fama che gli ha procurato Il padrino, il suo miglior film è Strade violente (’81) di Michael Mann, e non ha tutti i torti: è la storia di un ladro di gioielli oltremisura avvincente, laddove il vero ladro protagonista della vicenda, John Santucci, interpreta, con un clamoroso ossimoro cinematografico, un poliziotto.

Alcuni, fra i tanti, ruoli che ha rifiutato: per esempio quello di Roy Neary in Incontri ravvicinati del terzo tipo (’77) di Spielberg. L’agente di Caan rispose che il suo assistito “avrebbe letto la sceneggiatura e, se approvata, avrebbe chiesto un milione di dollari più il 10% del lordo”. E così fu scelto il meno pretenzioso Richard Dreyfuss. E come James venne scelto in più film da Coppola, il figlio di Caan, Scott, pure lui attore, è stato cooptato da Nicholas Cage (che di Coppola è il nipote) per il suo esordio alla regia con Sonny (2002). Sodalizi di famiglia.

Disse no anche a Forman per Qualcuno volò sul nido del cuculo (’75). Il ruolo, andato poi a Jack Nicholson, gli portò, però, molti anni dopo, nel ’90, la parte per cui tutti lo ricordiamo e che Nicholson, a sua volta, aveva rifiutato, ovvero quella dello scrittore sequestrato dalla sadica infermiera Kathy Bates in Misery non deve morire, tratto dal romanzo di Stephen King. Anche se Caan, poi, ha fatto sapere: “Milos Forman ha reso fantastico” il protagonista e anche “Jack è stato fantastico. Ho fatto un fottuto, fottuto errore” a non accettare quel ruolo.

Non ha mai sopportato, Caan, i palloni gonfiati. A proposito degli attori che si sono presi troppo sul serio ha detto: “La verità è… che io, De Niro, Pacino, Hoffman, eravamo asini arroganti e pomposi”. E ancora: “Hai presente quegli attori che vanno in giro con le loro fottute guardie del corpo? Una guardia del corpo! Non avrei mai una guardia del corpo. Voglio dire, chi vuole farmi del male? Ma il punto è che hanno la guardia del corpo in modo che possano dire: ‘Lasciami in pace!’. Se qualcuno non li riconoscesse, però, avrebbero un infarto, quei bastardi”.

Ha lavorato, Caan (oltre novanta film al suo attivo) persino con Lars von Trier, un regista decisamente poco adatto a uno come lui, in Dogville (2003), e difatti non è che ne sia rimasto molto soddisfatto. Ha detto, poi: “È un film molto antiamericano, quindi fanculo. Sono molto pro-America. Sono un conservatore, fondamentalmente”. Repubblicano convinto, per la precisione.

Ha lavorato fino all’anno scorso, Caan che, in un’intervista del 2021, a 81 anni, concessa a Ben Mankiewicz, ha ammesso di avere ancora un po’ di benzina nel serbatoio e di sperare quindi in un altro grande ruolo. “Voglio fare un buon lavoro. Sono frustrato. Mi piacerebbe fare una cosa da personaggio vero. Non posso prendermela comoda. Mi piace lavorare. Mi diverto di più quando lavoro e mi faccio un sacco di risate. E ricevo anche rispetto, a volte”. Peccato non ce l’abbia fatta.

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