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Che legame c’è tra consumo di pesce e rischio di melanoma? “Non per l’alimento in sé ma per il contenuto di diossine, mercurio e arsenico”

La correlazione in un studio condotto negli Stati Uniti dai ricercatori della Brown University. Nello specifico, “lo studio suggerisce che mangiare frequentemente pesce, specialmente quello di grande taglia come il tonno, potrebbe aumentare il rischio di sviluppare il melanoma", ci spiega il professor Fontana, Direttore della Cattedra di Medicina Metabolica Traslazionale e del programma di Longevità in salute dell’Università di Sydney, Australia

di Ennio Battista

Mangiare pesce due volte a settimana può aumentare il rischio di tumore alla pelle? Lo afferma uno studio condotto negli Stati Uniti dai ricercatori della Brown University. Nello specifico, “lo studio suggerisce che mangiare frequentemente pesce, specialmente quello di grande taglia come il tonno, potrebbe aumentare il rischio di sviluppare il melanoma, un cancro della pelle particolarmente aggressivo e potenzialmente letale”, ci spiega il professor Luigi Fontana, Direttore della Cattedra di Medicina Metabolica Traslazionale e del programma di Longevità in salute dell’Università di Sydney, Australia, e uno dei massimi esperti mondiali di nutrizione e longevità. Al professor Fontana abbiamo chiesto un commento alla ricerca.

“In questo recente studio epidemiologico i ricercatori della Brown University hanno rilevato che le persone che consumavano pesce più volte alla settimana (in media 43 g) avevano un rischio di melanoma superiore del 22% rispetto a coloro che lo assumevano saltuariamente (in media 3 g alla settimana)”, continua l’esperto. La ricerca si è svolta coinvolgendo 491.367 statunitensi (età media 62 anni) che hanno riportato in un questionario dietetico il consumo annuale di pesce. I ricercatori hanno poi calcolato la percentuale dei casi di melanoma che si sono sviluppati nei successivi 15 anni: circa l’1% ha sviluppato un melanoma maligno e lo 0,7% un melanoma in stadio 0, che è una lesione pre-cancerosa. “Anche dopo aver preso in considerazioni alcuni fattori confondenti come il peso, l’assunzione di alcol e fumo, nonché una storia familiare di cancro, le persone che consumavano pesce frequentemente avevano un rischio più alto del 28% di sviluppare cellule anormali, ma solo nello strato esterno della pelle, causando una lesione definita come melanoma di stadio o melanoma in situ”, sottolinea Fontana.

Professor Fontana, a questo punto le conclusioni contraddirebbero altre ricerche sui benefici del pesce…
“Una grossa limitazione di questo studio epidemiologico (che per definizione non può dimostrare una relazione causa-effetto) è il non aver valutato l’influenza di altri fattori importantissimi come il numero dei nei, il colore dei capelli, la storia delle scottature solari e gli stili di vita. Infatti, in controtendenza con questi risultati, una recente meta-analisi e revisione sistemica di 18 studi ha trovato un effetto protettivo del consumo di pesce nel prevenire il melanoma”.

Secondo l’autore dello studio, Eunyoung Cho, il sospetto è che alla base del rischio di cancro potrebbero esserci i contaminanti presenti nei pesci, come diossine, arsenico e mercurio.
“Infatti. Una potenziale e plausibile spiegazione potrebbe essere che l’aumentato rischio di cancro cutaneo sia legata non tanto al consumo di pesce in sé e per sé, ma all’assunzione d’inquinanti presenti nel pesce. Questo ed altri studi suggeriscono che il contenuto di diossine, mercurio e arsenico potrebbero essere i colpevoli, perché il rischio è maggiore in chi consuma tonno. A supporto di questa teoria esiste una ricerca condotta a Singapore”.

Che cosa ha scoperto?
“Per esempio, ha trovato un aumentato rischio di un altro cancro della pelle, il carcinoma squamoso, nei grandi consumatori di pesce. Pesce che nella piccola isola di Singapore sembrerebbe provenire in larga parte da acquicolture che usano mangimi contaminati con arsenico. Infatti, uno studio ha stimato che l’assunzione media giornaliera d’arsenico in un singaporiano che consuma molto pesce può raggiungere i 3,1 μg/kg di peso corporeo al giorno, valore che è ben oltre la soglia raccomandata della FAO/OMS. E studi su esseri umani e animali da esperimento indicano che i raggi ultravioletti interagiscono con l’arsenico nel promuovere lo sviluppo dei tumori maligni della pelle”.

Quindi nella scelta di mangiare pesce, come dovremmo orientarci?
“Le popolazioni degli Inuiti e i giapponesi che mangiano regolarmente pesce hanno tradizionalmente tassi molto più bassi di malattie cardiache rispetto ai consumatori di carne. Diversi studi suggeriscono che mangiare da una a quattro porzioni a settimana di pesce ricco di omega-3 potrebbe ridurre il rischio di avere un infarto del miocardio del 22% rispetto a coloro che consumano pesce meno di una volta al mese. Quindi, tornando alla sua domanda: quale pesce? Dobbiamo evitare di consumare frequentemente pesci predatori di grande taglia (es. pesce spada, tonno, squalo) perché essendo all’apice della catena alimentare accumulano potenzialmente concentrazioni tissutali molto elevate di mercurio e altri metalli pesanti che inquinano i nostri mari. I metodi di preparazione hanno un impatto minimo sui livelli di metilmercurio ingeriti. Dovremmo invece privilegiare le specie più piccole di pesce azzurro ricco di acidi grassi polinsaturi omega-3 a catena lunga, come le acciughe, le aringhe, gli sgombri e le sardine; o anche, uscendo da queste tipologie, scegliere salmone selvatico. Per i livelli di diossine e bifenili policlorurati (contaminanti industriali), i dati a disposizione suggeriscono che nella maggior parte dei pesci sono ancora bassi, e comunque non superiori a quelli che si possono trovare in carne, latticini e ortaggi cresciuti in terreni contaminati. Gli effetti cancerogeni di basse concentrazioni di queste sostanze sembrerebbero esser compensati dai benefici dell’assunzione di pesce. Tuttavia, specialmente per le donne gravide o in allattamento, e per i loro bambini, è sempre meglio consultare gli avvisi regionali sul grado di contaminazione delle acque in cui vengono pescati i pesci d’acqua dolce. Il contenuto di bifenili policlorurati nel pesce può essere ridotto dal 12% al 40% eliminando il grasso della pancia e della schiena durante la sfilettatura e non consumando la pelle”.

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