Molta enfasi, autorità, sponsor, mecenati all’inaugurazione di pochi giorni fa a Venaria Reale, ma doveva essere a marzo, “dell’ultimo anello mancante” come è stato detto: la Fontana d’Ercole.

La Reggia di Venaria, alle porte di Torino, in un posto climaticamente sfavorevole ma adattissima all’ars venatoria – di qui il nome – gran passatempo dei Savoia che ovviamente, come nelle altre regge di altre dinastie, o come nei club house del golf di oggi, dotarono il luogo di servizi atti alle feste e all’ospitalità. Ho scritto tantissimo di questo aulico contenitore, il più costoso cantiere per il suo restauro o meglio in gran parte ristrutturazione perché di questa si trattò. Vi hanno messo mano tutti, ingenti e fuori controllo alcune spese, bastava leggere il Bollettino della Regione Piemonte (ma chi lo legge?) per rendersi conto di esose consulenze. La più assurda, quella per chiamare dagli Usa, pagando ovviamente viaggio ed hotel ma anche una spropositata parcella, i due architetti italiani, marito e moglie, che avevano disegnato le poltroncine acquistate in negozio per chieder loro come andassero sistemate!

Nei vincoli o meglio condizioni per ottenere il lucroso finanziamento dall’Unione Europea, c’era quello di farla diventare un museo, il più imponente della Regione. Qui si pose subito il quesito: ma quale? Non c’erano in Piemonte oggetti sufficienti per “riempire ” i 118.000 mq. Scartate poi l’ipotesi di trasferirvi il Museo Egizio di Torino in centro città o altri. Si optò per farla diventare, e giustamente, un grande contenitore di mostre ed eventi. La Reggia ha dei costi altissimi e di qui l’ansia dei vari presidenti e direttori a riempire ogni spazio, a volte con mostre improbabili e discutibili, poco scientifiche ma molto popolari e di facile presa sul pubblico.

Altro introito di grande rilevanza è quello degli eventi, sempre più appetiti da aziende, cittadini abbienti ed istituzioni; ma si sa, la concorrenza è tanta in una regione ricca di castelli anche privati, per cui ogni nuova offerta, ogni effetto speciale, ogni attrazione da proporre ai clienti va bene. Deve essere stata questa la motivazione della stravagante idea della ricostruzione totale di una fontana demolita nel 1711, non per eventi bellici ma per volontà dei suoi stessi proprietari, tanto che ad oggi se ne conservavano solo i ruderi nascosti dalla fitta vegetazione.

Non che alla Reggia manchi la fontana, ad esempio c’è la cosiddetta fontana del “cervo che non c’è”, dove alla sera zampilli variamente colorati danzano a suon di musica, certo non una novità perché già da bambina, tantissimi anni fa, mi divertivo con questi spettacoli “son et lumières”, che erano quotidiani alla “Fontana dei Mesi” al Valentino di Torino. Pertanto, forse per competere con le spettacolari ed originali fontane della Reggia di Caserta o Versailles, si è pensato alla ricostruzione totale di vasca, statue, bassorilievi, mascheroni ed esedra, ovviamente tutto in resina acrilica e solfato di calcio. E così sono comparsi enormi telamoni e pareti di conchiglie nell’esedra, oltre a zampilli a comando, il tutto per una spesa di 3 milioni di euro, per fortuna non pubblici ma di aziende e banche.

In sostanza si è sdoganato il concetto della ricostruzione totale delle rovine, perché di questo si tratta per stessa ammissione dei responsabili, nella presentazione durante l’inaugurazione. In molti giornali però questo intervento è stato erroneamente definito di “restauro e valorizzazione”. Temo a questo punto che qualche “mecenate”, suggestionato da qualche architetto visionario, proponga la ricostruzione totale del Foro Romano o di tutte le vestigia sparse per l’Italia. Inutile scandalizzarsi per il Castello del Boss delle Cerimonie o per Caesar hotel di Las Vegas, se la strada è questa; ma d’altra parte i responsabili della Reggia avevano dichiarato all’Ansa che il loro modello erano per l’appunto gli Usa.

Qui non si tratta di discutere sul recupero del patrimonio architettonico, cui sono sempre stata favorevole, ma di sconfessare tutti i principi della Carta di Atene e Venezia, i principi di Giovannoni e Brandi, non essendoci neanche l’alibi della rifunzionalizzazione. Favorevolissima all’uso, non abuso, del patrimonio architettonico, purché non comprometta o leda il valore storico e la dignità – e il recupero rientri nei canoni della scientificità – sono rimasta molto perplessa di fronte a questa disinvolta operazione. Operazione pensata a fini prettamente turistico/commerciali per agevolare foto da matrimonio, feste ma anche per sede di circoli della caccia e hotel come dichiarato.

Tra l’altro non è neanche stata perseguita la logica del “dov’era com’era”, tipo Campanile San Marco, perché insieme alla ricostruzione acrilica sono stati aggiunti elementi architettonici contemporanei in acciaio e legno. In ogni caso tutti entusiasti di questa ricostruzione che spero almeno venga – per onestà verso i visitatori e turisti – presentata come tale e non come il restauro della Fontana d’Ercole. La Bellezza va tutelata non reinterpretata o falsificata, ma la mia è un’opinione personale.

Photo credit: Costantino Sergi

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