Cultura

La linea della vita, l’inaudita bellezza e la tremenda trasformazione del secolo breve nel nuovo romanzo di Cristina Stanescu

Un curioso, quanto naturale, innesto tra un registro semi fiabesco del racconto di formazione di un nugolo di figlioli di un alto funzionario statale nella Romania degli anni venti e trenta del secolo scorso e il subbuglio sociale e politico che ne accompagna rutilante ed impetuoso i mutamenti di vita e futuro

di Davide Turrini

Una fiaba con una ragazza sognante, sinistri sortilegi, e tanta politica, anzi moti violenti e rivoluzionari, che cambieranno radicalmente il mondo. Non è affatto male La Linea della vita (Sem), il secondo romanzo di Cristina Stanescu. Un curioso, quanto naturale, innesto tra un registro semi fiabesco del racconto di formazione di un nugolo di figlioli di un alto funzionario statale nella Romania degli anni venti e trenta del secolo scorso e il subbuglio sociale e politico che ne accompagna rutilante ed impetuoso i mutamenti di vita e futuro. Prendi questa mano zingara e dimmi che futuro avrò. Funziona pressappoco così la “linea” effettiva della vita che viene letta sulla mano di Nina giovanissima dopo una pattinata sul ghiaccio, da una arcigna tzigana. Nina, la figlia più bella, e per la quale perde la testa mezza Romania si sente fugacemente sentenziare: “Vivrai tanto e la vita ti porterà lontano”, ma attenzione “dovrai combattere, vincerai, ma anche perderai”. Insomma, eccolo subito lì il canovaccio storico sentimentale che si dipanerà per la figlia dell’illustre Hristu, rimasto vedovo all’improvviso, liberal democratico d’altri tempi che progetta severo ma senza prepotenza l’esistenza agiata per tutti i suoi cinque figli. Ma come nei più palpitanti romanzi storici nulla corrisponderà al volere del maturo funzionario. Saranno soprattutto Nina e Niki a offrirgli inattesi e pesanti grattacapi: la prima sposando l’amato capitano e non l’orrido questurino imposto dal padre; il secondo seguendo le gesta estremista del (vero) guru politico Codreanu e della sua Guardia di Ferro. In mezzo ci sono gli “ismi” anni venti e trenta, la polveriera del novecento, il moto devastante che ha trasformato la storia. Stanescu colloca e fa basculare proprio sul crinale tra il minimale intimista e il massimalismo ideologico la crescita e l’età adulta della protagonista e del protagonista allungando il tempo fino a Stalin e all’affermarsi di Ceausescu. Con uno stile asciutto e una lingua che non bada a fronzoli, la baldanzosa anormalità giovanile fatta di drappi, profumi e balocchi, castelli vampireschi, montagne innevate e orsi feroci fa gradualmente spazio al dramma materiale della storia senza mai perdere di vista il sogno (qui è il mare italiano). Avvincente, scorrevole, finanche informativo, La linea della vita lascia un segno che pare sottile ma che porta con sé l’inaudita bellezza e la tremenda trasformazione del secolo breve.

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