Mentre la discussione sul bando alla vendita di auto con motori endotermici nel 2035 votata dall’Europarlamento riempie le cronache continentali e divide i governi dei vari paesi, l’associazione europea dei costruttori (Acea) fa sapere che per raggiungere la riduzione del 55% delle emissioni di anidride carbonica (come previsto dal piano Fit for 55) ci sarebbe bisogno di installare 6,8 milioni di colonnine pubbliche per la ricarica di auto a batteria, entro il 2030.

In pratica questo significa una crescita di 22 volte rispetto al numero di stralli esistenti al momento, il tutto in un lasso di tempo di otto anni. Operazione che appare proibitiva, anche se nell’ultimo lustro si è registrato un aumento del 180% del numero di punti di ricarica nell’Ue: ce ne sono attualmente 307 mila, che ovviamente sono insufficienti se rapportati alle esigenze di cui sopra.

Una soluzione potrebbe venire dagli stati membri, se decidessero finalmente di mettere a punto il nuovo regolamento sulle infrastrutture relative alle alimentazioni alternative che la stessa Commissione europea aveva proposto oltre un anno fa. Regolamento su cui, tuttavia, prima bisognerebbe trovare un accordo.

La situazione dei punti di ricarica nel vecchio continente è, nondimeno, complicata anche per altri motivi. Il primo è il loro posizionamento, perché secondo l’Acea la metà di questi è concentrata in due soli stati: Paesi Bassi, con 90 mila colonnine, e Germania, che ne ha 60 mila. Una concentrazione abnorme, considerando che i due paesi coprono solo il 10% del territorio dell’Unione Europea. Dietro a questi si posiziona la Francia, con 37.128 colonnine, quindi la Svezia (25.197) e l’Italia (23.543).

Ma la sproporzione si fa abissale se si considerano gli stati meno dotati di infrastrutture per la ricarica. Tra questi, a spiccare in negativo è Cipro che ne ha solo 57, ovvero circa 1600 volte in meno il numero dei Paesi Bassi. Senza considerare paesi come Malta (98), Lituania (207), Estonia (385) e Lettonia (420). Una spaccatura profonda, dunque, che mette in evidenza anche le differenze attualmente presenti tra l’Europa dell’est e quella occidentale in tema di transizione energetica.

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