E’ davvero stomachevole seguire le vicende della guerra in Ucraina. Innanzitutto per il numero quotidiano di vittime che si registra. Un prezzo umano eccessivo, di cui francamente potrebbe farsi a meno, se non fosse che determinate potenze hanno scelto di usare il disgraziato Paese ex-sovietico come luogo dove confrontarsi per determinare l’esito dello scontro in atto sugli equilibri mondiali di potere fra di esse. Alla faccia e alle spalle del popolo ucraino, chiamato a dare un contributo quotidiano di sangue alla geopolitica mondiale, come pure dei soldati di entrambi le parti.

A questo punto gli scemi di guerra, categoria in rapida crescita specie tra i politici e i giornalisti (molto meno tra la gente comune), alzano solitamente il ditino per ricordarci in modo saccente che occorre distinguere tra aggressori e aggrediti.

Al che occorre replicare invocando l’uso della ragione e lo studio della storia, che insegnano come i conflitti abbiano sempre ragioni profonde e non possano essere studiati, capiti e risolti concentrandosi sull’ultimo tratto (in questo caso i quasi oramai quattro mesi che ci separano dall’invasione russa) senza prendere in esame le radici dello stesso, il che significa, nel caso dell’Ucraina, che occorre risalire quantomeno alla fine dell’Urss, alle promesse mancate relative al mancato allargamento della Nato o alla sua trasformazione in organismo del tutto nuovo e differente e soprattutto al rovesciamento del governo Yanukovich che dette inizio, oltre che a un governo ucraino con deboli credenziali democratiche e forte tinte neonaziste, alla guerra civile nel Donbass. La guerra va come va e ogni giorno segna un arretramento delle difese ucraine, il che, come spiegano gli specialisti della materia militare, costituisce una prevedibile conseguenza del dislivello esistente tra le forze in campo.

La conquista oramai quasi totale del Donbass sembra oramai un fatto compiuto. E potrebbe agevolare la fine delle ostilità e il ristabilimento di una situazione di pacifica e cooperativa convivenza tra le parti, specie tenendo conto del fatto che buona parte della relativa popolazione non aspira certo a tornare sotto il governo di Kiev. Ma così finirebbe una guerra che rappresenta molte opportunità per vari personaggi e per vari Stati, a cominciare dagli Stati Uniti. E quindi perché rinunciare a tanta pacchia tornando all’avvilente trantran quotidiano dei tempi di pace? E qui entrano in azione quelli che chiamerò i bulli. Personaggi che da qualche tempo hanno deciso di trarre un profitto personale, economico o politico, dalla continuazione del conflitto e anzi dalla sua esasperazione fino ad un’escalation dagli esiti imprevedibili. Ma facciamo qualche nome.

Innanzitutto Boris Johnson, ultras dell’Occidente, impegnato in una sua personale guerra contro l’Europa, che ha ben capito come questa guerra potrebbe dare un colpo definitivo all’Unione europea, esaltando al tempo stesso la sua funzione di mosca cocchiera degli Stati Uniti e della Nato, fortemente impegnata a costruire un proprio rapporto diretto tra i governi più oltranzisti e antirussi dell’Est europeo, oltre che a coltivare la malapianta del revanscismo britannico a fini personali di sopravvivenza elettorale. Poi l’ex primo ministro russo Medvedev che ha voluto proferire alcune dichiarazioni di odio totale all’Occidente senza se e senza ma, probabilmente per allontanare dalla sua persona i sospetti di non essere sufficientemente nazionalista, alimentati da certa stampa occidentale. Poi ancora il ministro polacco che ha recentemente dichiarato che il suo Paese è pronto a respingere ogni attacco russo.

E ovviamente vari membri del governo ucraino che continuano ogni giorno a rivolgere le proprie ossessive e petulanti richieste di nuovi armamenti a chiunque sia in grado di fornirli e di nuove sanzioni antirusse a chiunque sia in grado di attuarle. E, dulcis in fundo, tutti quei governanti europei, e i nostri tra di loro, che si dichiarano disposti a fornire tali armamenti e attuare tali sanzioni, anche se poi in pratica per motivi vari fanno ben poco. Tutti costoro sono responsabili della continuazione della guerra in Ucraina, coi suoi enormi costi, innanzitutto per il popolo di quel Paese ma anche per molti altri, e i suoi altrettanto enormi rischi. E’ bene quindi che escano di scena.

É invece necessario che entri in azione il Vaticano, il quale, per bocca di Papa Francesco, ha già avuto espressioni chiare e condivisibili sul conflitto e sulle sue cause. L’ha fatto con un giudizio estremamente equilibrato che da un lato ha condannato l’intento della Nato di estendersi verso Est e dall’altro l’invasione russa, sottolineando giustamente l’importanza del principio di autodeterminazione dei popoli e quello di solidarietà nei confronti delle popolazioni colpite. L’apprezzamento recentemente espresso dal governo russo per il ruolo della Santa Sede come promotrice di pace costituisce, a tale riguardo, un’occasione che non va fatta cadere, anche se i bulli di cui sopra non lasceranno nulla di intentato affinché non si arrivi alla pace, oggi più che mai urgente e necessaria.

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