Il Veneto ha perso la guerra dell’acqua con il Trentino Alto Adige. A Pasqua, quando la siccità invernale sembrava non dar tregua, causando un abbassamento del livello dei fiumi, il governatore Luca Zaia aveva lanciato la richiesta di poter utilizzare i bacini idrici delle montagne confinanti per portare rifornimenti alle campagne assetate. Ma per farlo ha dovuto rivolgersi alla Protezione civile nazionale, chiedendo che venissero riconosciute le condizioni per una dichiarazione dello stato d’emergenza. Adesso è arrivato il riscontro del capo della struttura delle emergenze italiane, Fabrizio Curcio. La risposta è stata netta: “Non ci sono le condizioni per lo stato di emergenza in relazione alla situazione di carenza idrica in atto nel territorio regionale”.

Ecco la spiegazione fornita al presidente della giunta del Veneto: “Questo dipartimento ha avviato l’istruttoria tecnico-amministrativa e sulla base di quanto rappresentato dalla Regione Veneto si ritiene che lo scenario di criticità idrica rappresentato non sia tale da giustificare l’adozione di misure che trascendono le capacità operative e finanziarie degli enti competenti in via ordinaria”. Quindi è vero che il calo delle precipitazioni ha portato a una scarsità d’acqua, ma gli enti vi devono far fronte con le proprie risorse. “Nello specifico – continua Curcio – si è riscontrato che nella documentazione trasmessa dal Veneto non si fa cenno a contingenti situazioni di grave crisi in atto in termini di approvvigionamento idrico anche per usi idropotabili, inoltre non vengono descritte le misure già effettuate o da effettuare in termini di assistenza alla popolazione o di ripristino delle infrastrutture di rete. Non vengono altresì descritti scenari di rischio residuo, né vengono quantificati economicamente i danni arrecati al tessuto economico e sociale”. Mancano completamente, quindi, i presupposti per affermare che esista lo stato di emergenza.

La Protezione Civile fa riferimento all’analisi effettuata dall’Osservatorio permanente sugli utilizzi idrici nel distretto idrografico delle Alpi orientali che si è riunito il 13 aprile e il 5 maggio: “Lo scenario descritto è in accordo con un livello medio di severità idrica e quindi non può essere oggetto di valutazione ai fini della dichiarazione dello stato di emergenza” scrive Curcio. “Pur comprendendo il disagio del Veneto – conclude – la crisi dovrà essere fronteggiata nell’ambito dei poteri e delle competenze attribuiti dalla normativa vigente alle amministrazioni e agli enti ordinariamente preposti”.

Il Veneto avrebbe voluto che gli invasi fossero aperti per portare acqua all’Adige. Le due province autonome di Trento e Bolzano si erano opposte, spiegando che devono soddisfare le richieste dei concessionari Alperia e Dolomiti Energia per la produzione di energia elettrica, e quindi si sarebbero piegate solo a fronte di un’ordinanza nazionale di emergenza. Per ottenerla Zaia avrebbe dovuto fornire le prove dell’esistenza di difficoltà di approvvigionamento e di danni, il che non è stato dimostrato. Un’ulteriore verifica è rimandata al 9 luglio, quando si riunirà nuovamente l’autorità di bacino delle Alpi Orientali che ha comunque attivato un tavolo dei rappresentanti di Veneto e Trentino Alto Adige. Richieste di rilascio dell’acqua vengono anche dalla Lombardia, per l’approvvigionamento di cui avrebbe bisogno la campagna mantovana, che utilizza l’Adige. “Se ci fosse stata una risposta diversa – ha spiegato l’assessore trentino Mario Tonina – avremmo sì aperto gli invasi ma l’acqua sarebbe durata poco. Pensi che abbiamo comuni in cui la protezione civile ha dovuto distribuire acqua potabile…”.

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