Roberto Melchiorre, uno storico abruzzese impegnato soprattutto nelle scuole, ha rievocato in un libro di 140 pagine alcune delle principali stragi nazifasciste in Italia (Terra bruciata, gruppo editoriale ELI, euro 7,70). Il libro – pubblicato con il contributo della Fondazione Brigata Maiella e della Fondazione Pescarabruzzo – attinge molte delle sue notizie dall’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia, in cui sono stati censiti oltre cinquemila episodi di eccidi.

“Quel che più mi ha colpito – scrive Melchiorre nella prefazione – è stata l’inutilità delle stragi, l’assoluta mancanza di proporzione tra la presunta causa (un attentato, uno scontro con i partigiani) e la reazione bestiale dei nazifascisti nei confronti della popolazione inerme”. Ma lo stesso Melchiorre ricorda che tutta la vicenda della seconda guerra mondiale si caratterizza per il numero spaventoso delle vittime (70 milioni di morti, che ne fanno la più sanguinosa delle guerre nella storia dell’umanità) e anche per la giovane età dei soldati tedeschi autori delle stragi, molto spesso appena diciottenni (andando da Bologna a Firenze non per l’Autosole ma per la vecchia statale si incontra un cimitero di guerra tedesco in cui le lapidi lasciano sconvolti per l’età dei caduti: ragazzi fra i 17 e i 25 anni, morti – per colmo di sventura – pochi giorni prima della fine della guerra).

Fra i tanti eccidi tedeschi, Melchiorre ricorda quelli di Sant’Anna di Stazzema (393 vittime, fra cui molti bambini) e di Boves (23 vittime e 350 case incendiate). Terribili le vicende di Limmari (non lontano da Roccaraso) con sessanta vittime fuggite nei boschi, inseguite e freddate una ad una, e di Sant’Agata, una frazione fra il mio paese natale, Torricella Peligna, e Gessopalena. Lì i tedeschi si accanirono contro un gruppo di persone – vecchi, donne e bambini – che si erano rifugiate in una masseria. Dopo aver sbarrato le porte, i tedeschi gettarono nella casa decine di bombe a mano. Dopo la strage, per accertarsi che tutti fossero morti, entrarono fra le macerie e passarono sul collo delle vittime un tizzone ardente, uccidendo quanti davano segno di reagire alla fiamma. Si salvò solo una ragazza, Nicoletta Di Luzio, che si nascose sotto i cadaveri dei suoi familiari e narrò poi la tremenda vicenda a mio padre, che nel frattempo stava dando vita alla banda partigiana “Brigata Maiella”, la sola decorata di Medaglia d’Oro al Valor Militare (la Brigata combatté prima a fianco degli inglesi, fino alla liberazione di tutto l’Abruzzo, e poi dei polacchi, contribuendo a liberare le Marche e la Romagna: i suoi partigiani furono i primi ad entrare a Bologna, alla vigilia del 25 aprile e della Liberazione).

Fra i dati interessanti del libro, quello della diserzione di soldati tedeschi dopo l’8 settembre: circa 30mila di loro abbandonarono la divisa per andare incontro a un destino simile a quello dei soldati italiani. Così come sono interessanti alcune delle stragi meno note anche a chi si interessa da sempre alle vicende della guerra e della Resistenza.

Segnalo in particolare quelle di Meleto e di Castelnuovo, due piccoli paesi della Toscana in cui decine di abitanti furono fucilati senza nessuna motivazione (e le loro case date alle fiamme). Agghiacciante la vicenda di Tavolicci, un paesino in provincia di Forlì, dove 64 abitanti furono fucilati o bruciati vivi. Tra le vittime, soprattutto anziani, donne e bambini: 19 dei caduti non avevano ancora dieci anni. Per non parlare della vicenda di Sant’Anna di Stazzema, il paesino in provincia di Lucca dove vennero massacrati 392 abitanti, di cui 78 sotto i dodici anni. Ma non meno sconvolgenti le notizie sull’eccidio di Vinca, un paese vicino alle Alpi Apuane. In uno scontro con i partigiani rimasero uccisi 16 militari tedeschi. Qualche giorno dopo le SS tornarono sul luogo dello scontro e – dopo aver impiccato 53 civili – effettuarono una delle stragi più dure: 162 abitanti del paese, in gran parte anziani e paralitici, incapaci di fuggire, bambini e neonati.

Ma quello che colpisce di più, nel libro di Melchiorre, sono le notizie sul ruolo pesante, nelle stragi di civili, dei fascisti italiani della banda dal nome “Mai Morti”, uno dei più terribili battaglioni della Decima Mas. Un tema che meriterebbe uno studio approfondito, per dimostrare che i fascisti erano spesso feroci come i loro alleati nazisti. Fra i maggiori responsabili di questi crimini, il maggiore Walter Reder: condannato all’ergastolo, chiese più volte perdono alle vittime, dicendosi pentito, e così ottenne prima la libertà condizionata e poi addirittura la grazia. Eppure Reder aveva comandato le truppe tedesche che eseguirono una serie di stragi nella zona di Marzabotto (secondo l’Atlante delle stragi nazifasciste, 770 persone fra cui 274 fra bambini e ragazzi).

Nel finale del suo libro, Melchiorre dedica dei “ritratti” ad alcuni dei più famosi criminali nazisti: Kesselring, Kappler, Priebke e Reder. Quest’ultimo, libero da qualche tempo, oggi ritratta le scuse che diede all’epoca del suo processo per Marzabotto e altre stragi: “Sono state soltanto una mossa del mio avvocato italiano. Non ho bisogno di giustificarmi di niente”. Fortuna che a condannarlo per sempre resta la storia dei suoi atroci misfatti, ma forse varrebbe la pena di scrivere un altro libro, per raccontare come l’Italia sia stata troppo clemente con i criminali nazisti, raccontando le storie tristi della fuga di Kappler dall’ospedale e del famoso “armadio della vergogna”, di cui gli italiani sanno troppo poco.

Articolo Precedente

Texas, in certe condizioni un adolescente può risultare esplosivo: l’accesso facile alle armi fa il resto

next
Articolo Successivo

Il dibattito sull’intelligenza artificiale rischia di diventare improduttivo ed autoreferenziale

next