Cultura

Lo Scaffale dei Libri, la nostra rubrica letteraria: diamo i voti a “Paradais” di Melchor, “Fine dei giochi” di Gucci, “Terrarossa” di Genisi e Crossroads di Franzen

di Davide Turrini e Ilaria Mauri

Un’Arancia Meccanica sudicia e sudaticcia, con due adolescenti poveracci che guardano per aria i villoni residenziali dei ricchi e sognano di conquistarne le grazie sessuali e di derubarne le gioie finanziarie. Paradais di Fernanda Melchor (Bompiani) è un romanzetto fulminante (poco più di 100 pagine) stilisticamente virtuoso, politicamente pulsante, bernhardianamente ricorsivo. In un Messico bollente, mangrovie e pioggia tropicale, narcos naturalmente assassini, Franco Andrade “il ciccione” si masturba continuamente pensando all’affascinante signora Marono, moglie di un riccone tarchiato con villa, piscina, aria condizionata e due figlioletti tecnologici tra le lussuose abitazioni del residence Paradais. L’indolente Polo, guardiano giardiniere delle villette in questione, cancella il nulla del suo futuro, i rimproveri violenti materni, la ragazzotta che forse non ha messo incinta, con litri di alcool. Franco e Polo si incontrano dietro le villette, vicino al fiume, dove echeggia pure qualche fantasma sanguinario, e alla fine più per noia che per vocazione fanno partire casualmente un piano per assaltare casa Marono che prevede quintali di violenza e morte. Melchor espone con una screziatura di humor nero l’irrealizzabile ascesa sociale di due ragazzini disperati e perduti senza mai farceli realmente “amare”; compone periodi lunghi una pagina (e anche più) che sfumano sul fuoco dell’ossessività reiterata l’essenza dei barcollanti protagonisti; dipinge lo sfondo, lo spazio, l’aria che tira con consumata, precisa, compulsiva pressione disturbante. Ne esce un romanzo/racconto breve dove la parolaccia è fusa nel gergo per sciogliere i muscoli del lettore più schizzinoso e dove la dolente mostrificazione di Polo e Franco oscilla tra l’astrazione universale della migliore letteratura e la rigidità inequivocabile di un contesto storico geografico peculiare. E poi Melchor è una donna che scrive in prima persona al maschile con una smaccata vivacità maschilista. Traduce con energico ed efficace trasporto nientemeno che Pino Cacucci. Voto: 8

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