Ogni estate, quando Rai uno trasmette il suo celebre e amatissimo Techetechetecheté, mi capita di fare un’osservazione che forse molti non condividono. Di fronte alle diffuse esclamazioni di ammirazione e rimpianto per la bellezza dei programmi di intrattenimento di un tempo, di quei varietà in bianco e nero in cui i comici facevano ridere senza volgarità anzi con grande eleganza, a me pare che non sia proprio così.

Mi spiego: la bellezza, la qualità televisiva, l’eleganza ci sono, ma riguardano altri aspetti che sarebbe troppo lungo analizzare qui. La comicità invece è molto modesta: anche i comici più famosi e rimpianti (non faccio nomi) offrivano sketch e monologhi puerili, pacchianotti, imbarazzanti tanto che, lungi dall’essere ancora gradevoli, spesso ci si chiede chi potessero far ridere all’epoca.

C’è però un’eccezione: questa atmosfera un po’ deprimente scompare quando nella riproposizione della tv del passato compare Raimondo Vianello. Per lui valgono davvero le considerazioni entusiastiche sull’originalità e la finezza del suo umorismo diffuse nelle sigle, negli sketch, nelle conduzioni di programmi come Il tappabuchi, Tante scuse, Dui nuovo tante scuse, Sai che ti dico?, Canzonissima. Sono i varietà del sabato sera degli ultimi anni Sessanta e primi Settanta, una delle epoche d’oro dell’intrattenimento Rai.

Per Raimondo Vianello era già la seconda esperienza con la televisione. La prima, altrettanto celebre, risaliva agli albori della Rai tv, a quell’Un due tre finito per via della famosa parodia di un banale incidente occorso al Presidente della Repubblica. In quel programma la coppia Tognazzi-Vianello aveva portato in televisione la comicità che già avevano proposto nei varietà teatrali e nel cinema popolare di cui erano stati protagonisti. Nella coppia forse c’era un piccolo scompenso a favore di Tognazzi la cui immagine era più decisa, più netta sul piccolo schermo. Ma la cosa non fu mai motivo di screzio, di invidia.

Molti anni dopo, nel corso di un programma che li aveva entrambi ospiti, ci fu un accenno spiritoso alla loro separazione. Tognazzi disse una frase del tipo “non ci si vede più tanto come una volta”, al che Raimondo replicò con il suo distacco ironico “eh ma sei tu che fai delle cose troppo importanti per uno come me”: erano gli anni in cui Tognazzi era diventato un attore amato e ricercato dai più grandi registi, Ferreri, Bertolucci, Pasolini. In ogni caso Raimondo aveva ormai scelto come spalla comica la moglie Sandra Mondaini e con lei aveva dato il meglio di sé.

In quegli anni c’era stata anche la grave malattia e una guarigione che si poteva anche definire miracolosa. Raimondo è stato uno dei primi personaggi pubblici a parlarne in tv. Fu durante una puntata di Bontà loro, quando a un accenno di Maurizio Costanzo aggiunse con il suo classico understatement: “Sì, è vero ho avuto quello che si dice un brutto male”. Era il modo eufemistico con cui ai tempi si definiva il cancro.

Poi vennero gli anni Ottanta, gli Mediaset, anzi Fininvest, come si chiamava allora, gli anni berlusconiani, un po’ troppo berlusconiani – dissero alcuni – sorpresi e seccati per la sua esplicita dichiarazione di voto. Ma in quel caso, sempre a sentire voci di corridoio, c’era un motivo di grande riconoscenza sul piano privato, personale. In ogni caso la scelta di Mediaset fu fortunatissima sul piano artistico: prima il ritorno del grande varietà come Attenti a noi due o quello con il nome addirittura nel titolo, come le grandi star, Sandra e Raimondo show; poi la fiction, la mitica Casa Vianello, non un semplice prodotto televisivo ma qualcosa che è diventato un pezzo del costume di casa, per dirla alla Umberto Eco.

Ma se dovessi scegliere quello che più è nelle mie corde di quella lunga collaborazione con le reti Mediaset, ricorderei l’originale esperienza della conduzione per tuti gli anni Novanta di Pressing, la rubrica sportiva di Canale 5, molto attesa e molto seguita la domenica sera. Vianello calato in un ambito assai delicato come il calcio ci mise senza sforzo tutta la sua ironia, il suo humor nel rapporto con la valletta, il suo naturale distacco accentuato dall’estraneità rispetto al mondo di cui si stava occupando. Una recita perfetta del finto ingenuo: Raimondo non solo amava il calcio, ma ne capiva parecchio.

Aveva giocato e ormai ottantenne ogni sabato usciva di casa e quatto quatto raggiungeva il campo del quartiere per fare la partita con altri assidui frequentatori assai più giovani. Alla fine del match, raccontano che raccogliesse tutte le maglie le portasse a casa da lavare. Ma forse si tratta di uno sketch tra lui e Sandra.

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