A Gavassa, in provincia di Reggio Emilia, sperano ancora che il progetto Silk Faw, la joint venture tra cinesi e americani per la produzione di un’auto sportiva ibrida, vada in porto. Adesso, a quasi un anno da quando l’investimento da 1,3 miliardi di euro è stato annunciato, l’entusiasmo inizia a raffreddarsi. A confermare i dubbi sollevati dalla stampa locale sulle intenzioni della società, corroborati dalle dimissioni di alcuni dirigenti di punta, si è aggiunto negli ultimi giorni il ritardo nell’acquisto del terreno su cui dovrebbe sorgere la fabbrica. E con il triste precedente di un’operazione a Monaco di Baviera di Faw, la seconda più grande casa automobilistica cinese, a fare da monito. Partito da un’idea di ex dirigenti di Bmw e di Nissan nel 2016, il progetto Byton è naufragato nel 2019 con oltre mille licenziamenti tra Cina, Stati Uniti e Germania.

Il sospetto che dell’impianto rimangano soltanto gli annunci si insinua anche nei rappresentanti politici. Se il sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, professa ottimismo, il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, è meno fiducioso. “Speriamo che l’investimento di Silk Faw vada a buon fine, ma finché non lo vediamo realizzato non gli diamo un euro dei 4,5 milioni di finanziamento assegnati”, ha commentato Bonaccini nei giorni scorsi. Dalla società, invece, rimarcano la volontà di andare fino in fondo e ricordano che le scadenze sono state rispettate. L’inaugurazione, infatti, era prevista entro il primo semestre di quest’anno: in teoria, quindi, ci sono ancora un paio di mesi. Nel frattempo, sono stati assunti 58 dipendenti che, in attesa dell’apertura della sede, lavorano al tecnopolo di Reggio Emilia. L’unico ritardo, spiegano, riguarda il rogito per l’acquisto dell’ultimo lotto del terreno – vicino alla stazione dell’Alta velocità – sul quale verrà costruito lo stabilimento. “Si tratta di un’operazione di lungo periodo che comporta un impegno importante e che produrrà effetti positivi sull’intero ecosistema locale e nazionale” ha dichiarato al Resto del Carlino il presidente di Silk Faw, il finanziere americano Jonathan Krane. Ma le rassicurazioni arrivate dalla società non spengono le polemiche.

I motivi addotti come causa del rinvio del rogito, che sarebbe dovuto avvenire settimane fa, sono numerosi. Si va dalla pandemia alla crisi del mercato dell’automotive, passando per la burocrazia e la necessità di reperire i capitali. Nel frattempo, l’azienda ha perso anche alcuni dirigenti importanti. Il nome più noto è quello di Amedeo Felisa, che tra il 2008 e il 2016 è stato amministratore delegato di Ferrari. Assunto ad aprile scorso come collaboratore personale di Krane, il contratto con l’ex manager del Cavallino è scaduto ad ottobre e non è stato rinnovato. L’uscita di scena di Felisa è stata seguita a marzo di quest’anno da quella del direttore commerciale, Paolo Gabrielli.

Ma oltre agli addii eccellenti, a suscitare molte perplessità è anche l’impatto ambientale della fabbrica. Il sito, infatti, si estenderà su 320mila metri quadrati, una superficie pari a 45 campi da calcio. “All’inizio il progetto doveva essere fatto sulla ristrutturazione di edifici vecchi” commenta a ilfattoquotidiano.it l’eurodeputata del M5S, Sabrina Pignedoli, “mi domando se ha senso cementificare una parte così grossa di suolo”. Anche perché il progetto prevede uno stabilimento produttivo, un centro di ricerca e sviluppo e un circuito per le prove. Secondo molti, sarà quest’ultimo a occupare gran parte dell’area. “Vengono fatte delle deroghe abbastanza assurde”, prosegue l’europarlamentare, “ad esempio non è stata chiesta la valutazione di impatto ambientale. Dicono che non è necessaria. Secondo me invece è necessaria, tanto più che andando a vedere la visura camerale questa azienda potrà fare tutto: l’oggetto sociale è estremamente ampio”. Sul punto dalla Regione fanno sapere che, dopo aver sottoposto il progetto a una verifica preliminare, non si è ritenuto di procedere con la valutazione di impatto ambientale, dal momento che non sono emerse “criticità”.

Questo mentre la Conferenza dei servizi, la riunione tra enti locali deputata a rilasciare pareri e nulla osta, non si è ancora chiusa. Il Comune di Reggio Emilia, infatti, aspetta la firma del rogito per decidere sugli oneri di urbanizzazione a carico di Silk Faw, circa 4,5 milioni di euro, e per dare il via libera definitivo al progetto. Insomma, la situazione è ingarbugliata e non gioca certo a favore della joint venture la sua complicata struttura societaria. Secondo l’eurodeputata, che ha depositato un’interrogazione sulla vicenda alla Commissione europea, “le fonti di finanziamento sono abbastanza opache, con conti alle Cayman” e una matrioska di società cinesi e americane.

Per gestire l’operazione è stata creata Silk Faw Automotive Group Italia srl, con sede a Reggio Emilia e un capitale sociale già versato di 26,6 milioni di euro, detenuta dall’irlandese Silk Ev ltd. Quest’ultima è a sua volta controllata da una company cinese di cui è proprietaria una società con base alle Cayman. Alla fine della catena si arriva a una società di diritto americano. La capogruppo, che controllerà l’azienda italiana, sarà la neonata Silk Sport Car Company, le cui quote sono divise tra la Silk Ev di Jonathan Krane (85%) e la Holding della Faw (15%). Dettaglio importante: la società delle Cayman, Silk Ev Cayman Lp, avrebbe emesso il 28 gennaio del 2021 un’obbligazione convertibile da 15 milioni di euro sottoscritta dalla compagnia Ideanomics Inc. Secondo una nota della Sec, l’autorità americana che vigila sui mercati finanziari, riportata da un collaboratore della Pignedoli, i proventi dell’operazione dovevano servire a finanziare anche il progetto di Gavassa. Silk Cayman Lp, si legge nella nota della Sec, “utilizzerà gli introiti (…) esclusivamente per i costi e le spese relativi alla sua costituzione e alla costituzione e alle operazioni commerciali di Silk Faw Automotive Group Ltd e/o di alcune delle sue affiliate (“Silk Faw Automotive”)”.

D’altra parte, la questione dei finanziamenti è cruciale. Finora, secondo il Corriere della Sera, sarebbero state saldate fatture con i fornitori per 20 milioni di euro. Silk Faw ha intenzione di investire 1,3 miliardi di euro entro il 2028, con i quali costruire – stando agli annunci – il polo italiano dell’auto elettrica di alta gamma che, a regime, potrà contare su 1.040 addetti. Per riuscirci, nei prossimi 18 mesi il finanziere newyorkese Krane punta a raccogliere 400 milioni di euro sui mercati. Un’impresa che, visti i tempi, potrebbe non essere semplicissima.

Stando ai piani della società, la produzione dovrebbe partire nel 2024 con il lancio sul mercato della prima auto, l’hypercar ibrida S9, un’auto sportiva di lusso da 2 milioni di euro. Ai 400 esemplari di S9, dal 2025 si aggiungeranno alcune migliaia di S7, una berlina completamente elettrica (costo 250mila euro). Il grosso delle assunzioni, invece, avverrà l’anno prossimo.

Un capitolo a parte meritano i finanziamenti pubblici. A inizio aprile Silk Faw ha presentato i documenti per siglare un contratto di sviluppo con Invitalia, attraverso il quale ottenere agevolazioni e contributi a fondo perduto. Operazione della quale, però, al momento non si sa altro. Dall’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti, infatti, preferiscono non commentare. Ci sono invece molti più dettagli sui fondi che vengono dalla Regione e sui quali si sono scatenate le opposizioni, centrodestra in primis.

A Silk Faw, infatti, sono stati assegnati 4,5 milioni di euro sulla base della legge del 2014 sull’attrazione degli investimenti, la cifra maggiore tra le 19 imprese che hanno partecipato al bando. Nello specifico, la società ha richiesto i finanziamenti previsti per gli “interventi di ricerca industriale” e per l’assunzione di lavoratori svantaggiati, ottenendo il punteggio più alto in graduatoria. Il denaro, però, non è stato ancora erogato. Infatti, secondo la legge del 2014 lo sblocco dei fondi è subordinato al raggiungimento degli obiettivi e a una verifica tecnica da parte della Regione. Insomma, di soldi pubblici, al momento, Silk Faw non ne ha presi. Soldi che, comunque, saranno necessari a sostenere un settore, quello delle auto elettriche, sul quale l’Italia è piuttosto indietro. Se il progetto riuscirà a decollare si vedrà. Di certo, per ora, c’è soltanto il fatto che l’investimento nello spicchio reggiano della “Valle dei motori” è diventato un affare nazionale.

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