“Mancanza di personale nel settore della ristorazione e del turismo? Ci sono diverse ragioni complesse che riguardano giovani e non giovani. Dare la colpa al reddito di cittadinanza è il solito meccanismo da capro espiatorio. Siccome questo strumento non piace, lo si accusa di ogni nequizia. È una cosa poco seria ragionare così”. Sono le parole pronunciate ai microfoni della trasmissione “24 Mattino”, su Radio24, dalla sociologa Chiara Saraceno, che ha presieduto nei mesi scorsi il Comitato Scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza.

Saraceno spiega: “Il reddito di cittadinanza è l’ultima cosa che verrebbe in mente per motivare la mancanza di personale nel settore turistico e in quello della ristorazione. Ricordo che il reddito di cittadinanza in media corrisponde a 500 euro mensili a famiglia, non a persona. Quindi, non potrebbe mai essere competitivo con un salario decente. Il fruttivendolo sotto casa mia faceva una volta il cuoco e mi ha detto di aver cambiato lavoro perché, avendo famiglia, voleva avere orari più decenti. Lui – continua – era un bravo cuoco e gli piaceva quel lavoro, ma c’era una questione di aspettativa di vita migliore che probabilmente per molti giovani e per persone che hanno famiglia non corrisponde agli orari di lavoro della ristorazione. Nel settore turistico, invece, oggi ci sono molte più scelte. E quindi se prima molti erano disposti a raccogliere la frutta o a fare il bagnino, oggi per tanti quei lavori stagionali non sono più appetibili, soprattutto se sono pagati poco o in nero“.

La sociologa, infine, sfata la narrazione secondo cui i giovani non avrebbero “cultura del lavoro”, così come denunciato da alcuni chef stellati: “Questa tesi significherebbe implicitamente che noi eravamo migliori, che eravamo disposti a lavorare 18 ore al giorno e che accettavamo qualsiasi paga. Non è vero. Le grandi lotte operaie furono fatte proprio ai nostri tempi per dare dignità al lavoro anche con giuste retribuzioni, quindi non è vero che si accettava qualsiasi cosa. Gran parte della mancanza di offerta di lavoro adeguato deriva dal fatto che non c’è preparazione, né formazione adeguata. Per fare l’installatore di impianti devi essere molto qualificato, quindi il problema è un altro- conclude – Spostiamo l’occhio anche sul tipo di formazione che viene dato e sulla disponibilità da parte delle aziende di fare questa formazione. Investire nella propria forza lavoro significa anche investire nella formazione del lavoratore e aver cura del lavoratore stesso. C’è anche una responsabilità delle associazioni di categoria che dovrebbero moralizzare il loro settore, perché non possono ignorare quelli che pagano i lavoratori 2 euro all’ora e magari in nero”.

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