Le persone si trasferiscono dalla montagna alla città, accade da decenni. Non ce ne accorgiamo nemmeno, ma succede in tutta Italia e quando viaggiamo e vediamo borgate e frazioni abbandonate, un po’ di tristezza ci coglie. Eppure alcune comunità hanno avuto una storia veramente particolare e significativa. Ormea, cittadina ai piedi delle cime alpine, in Val Tanaro, è uno di questi casi. All’inizio del Novecento era uno dei Comuni più floridi dell’arco alpino occidentale italiano: 6mila abitanti, una ferrovia che lo collegava alla pianura, una cartiere conosciuta anche all’estero, 11 alberghi, un turismo spesso benestante, la classica economia di montagna, tra latte, formaggi, castagne. Da allora tutto è cambiato: lo spopolamento della montagna ha colpito duro anche qui, gli abitanti si sono ridotti a circa un quarto di allora e così anche i negozi, ma Ormea ha reagito alla crisi, adeguandosi al mutare dei tempi. Di questa storia racconta Un’Italia che scompare (Il Babi editore, 60 pagg., 12 euro), l’ultimo libro di Fabio Balocco, ambientalista, avvocato, scrittore in campo ambientale e sociale, blogger de ilfattoquotidiano.it. Il saggio indaga le cause di una decadenza ma anche di una trasformazione attualmente in atto per resistere in un mondo in continuo cambiamento. Pubblichiamo di seguito un’anticipazione.

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Lo spopolamento di Chionea iniziò negli anni ‘50. La vita in montagna era dura, le famiglie avevano galline, qualche mucca e qualche capra, nei campi si coltivava grano e patate e nei boschi si raccoglievano le castagne che una volta secche si conservavano per un anno. La vendita di burro e uova veniva barattata con zucchero, sale e altri piccoli beni. Nei lunghi inverni, quando non si poteva lavorare nei campi, le persone più giovani andavano in Liguria o in Francia a raccogliere le olive o a tagliar legna sotto padrone, ma continuavano a risiedere in paese.

Il grande esodo iniziò verso gli anni ’60, quando le famiglie si spostarono per cercare lavoro in altri paesi. In particolare, in tanti si trasferirono a Montecarlo per lavorare come spazzini. Le prime famiglie trovarono casualmente questo lavoro e avendo un contratto a tempo indeterminato fecero un passaparola per invitare altri abitanti di Chionea, che si trasferirono con tutte le famiglie. L’allora Direttore della Societé Monegasque d’Assainessement, Sma (la ditta che impiegava gli spazzini), aveva alta considerazione dei Chionesi, che riteneva gran lavoratori e persone oneste e umili. Gli stipendi erano buoni e abituati com’erano a non far sprechi, tanti riuscirono a comperarsi casa. Ricordo che i pantaloni della divisa avevano una banda rossa verticale e, quando ogni anno le divise venivano cambiate, le vecchie non venivano buttate ma erano regalate a chi era rimasto al paese.

Oggi a Monaco e dintorni vivono una cinquantina di famiglie originarie di Chionea, non fanno più gli spazzini ma hanno un buon lavoro da impiegati e tutti sono rimasti legati al paese di origine, dove hanno ristrutturato le case e dove tornano a passare un periodo di ferie.

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