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Sharon Stone: “Essere un’icona è il mio lavoro. MeToo? Voglio che cambino le leggi le mie opinioni non contano”

L'attrice si racconta in un'intervista a Repubblica e svela cosa c'è dietro alcuni dei suoi outfit, come la t-shirt di Gap indossata sul red carpet

di F. Q.

Dal suo essere un’icona al MeToo, in un’intervista a Repubblica Sharon Stone, da poco reduce da una trasferta a Milano per la sfilata di Dolce&Gabbana, si è raccontata.

Amata dal pubblico, tanto che Milano per il lancio della Devotion Bag di D&G le ha riservato un bagno di folla, l’attrice spiega come parte di questo amore da parte del pubblico derivi dal fatto di essere diventata famosa “senza web e social network“. “Quando ho iniziato, l’idea di un incontro ‘dal vivo’ era eccitante per tutti: le star, la gente e i media, e così è rimasto”. Indispensabile, secondo lei, proprio l’aiuto dei media: “Se i giornalisti non avessero raccontato al pubblico quello che faccio, non sarebbe stata la stessa cosa – dice ancora – Senza di voi non avrei la stessa voce, ma non tutti lo comprendono. Li sento i miei colleghi, quando vi chiedono di non disturbarli. Se voi non mi disturbaste, io non sarei quello che sono”. Gestire la fama non è sempre semplice, confessa: “Cosa si prova a essere un’icona? – risponde – Non saprei, questo è solo il mio lavoro“. “Tanti mi parlano ancora di Basic Instinct ma io l’ho girato trent’anni fa, nemmeno me ne ricordo – dice – Alla fine è un mestiere come un altro, anche se riserva delle belle sorprese”. “Qualche mese fa, a una premiazione in Svizzera, hanno proiettato Casinò di Martin Scorsese: non lo vedevo da venti anni. Dannazione, che gran film!”, ricorda.

Quindi ha rivelato anche alcuni dettagli dei suoi outfit, soprattutto quelli sfoggiati sul red carpet, come la camicia si suo marito e una T-shirt di Gap. “La T-shirt – svela – la misi perché il giorno prima un furgone di Fedex era passato sopra al vestito che avrei dovuto indossare. La camicia era un omaggio a mio marito, perché mi ero appena sposata. Però mi stava troppo grande, e allora Vera Wang me ne fece una ‘finta’ con le sue iniziali”.

Durante l’intervista c’è poi stato modo di approfondire il suo modo di essere e la sua “etica lavorativa ferrea”: “Per questo durante il MeToo ho scelto di non denunciare a mezzo stampa chi mi ha molestato – racconta – sapevo che non avrebbe sortito alcun effetto, e infatti a oggi in carcere ci è finita una sola persona, Harvey Weinstein. Tutto quel che si è detto era solo aria fritta. Voglio che cambino le leggi, le mie opinioni non servono”. Alla domanda su cosa serva, Stone è diretta: “Una struttura per far sì che tutti abbiano la stessa comprensione del fenomeno. Come succede con i semafori: rosso ci si ferma, verde si va, vale per tutti”. E poi, prosegue, “serve prospettiva”: “Se uno provasse a darmi il bacio della buonanotte senza chiedermelo e gli andasse male, il peggio che dovrebbe succedergli è il corrispettivo di una multa per sosta vietata. Quello che sto cercando di dire è che per cambiare davvero serve mediare”.

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