Il 2 marzo 1972, cinquant’anni fa, fu pubblicato il volume The limits of growth commissionato al Massachussets Institute of Technology dal Club di Roma, di Aurelio Peccei. Il volume fu tradotto in italiano con il titolo I limiti dello sviluppo.

Crescita e sviluppo non sono la stessa cosa. Lo sviluppo prevede crescita ma, raggiunte le dimensioni ottimali, la crescita si interrompe. Per gli economisti (non tutti) la crescita economica non deve fermarsi. Se si ferma c’è stagnazione, se si inverte c’è recessione. Entrambe sono viste come negative e l’obiettivo principe è, appunto, la crescita. Chi lo mette in dubbio viene tacciato di volere il ritorno al lume a petrolio, e altre amenità.

I modelli presentati nel volume del MIT, e nelle edizioni successive, sono stati criticati da più parti, che ne hanno messo in dubbio l’attendibilità. Anche Malthus, molto tempo prima, aveva suggerito, con il suo modello, l’impossibilità della crescita infinita. Ispirando a sua volta sia Darwin sia Marx.

Concediamo pure, per assurdo, che i modelli non siano stati accurati nelle previsioni delle modalità con cui si sono sviluppati i sistemi economici. Quel che importa è il semplicissimo concetto che la crescita infinita non è possibile in un sistema in cui le risorse non sono infinite. Se usiamo la superficie terrestre per costruire i nostri insediamenti e per mettere in atto le pratiche agricole, dobbiamo tener conto che la superficie disponibile ha dimensioni finite. E dobbiamo capire che non è possibile che la popolazione umana cresca all’infinito. Soprattutto in una specie come la nostra, all’apice delle catene alimentari. Possiamo ottimizzare i sistemi di produzione e consumo, ma i limiti prima o poi verranno imposti dall’esaurimento delle risorse.

Se anche dovessimo usare l’energia del sole e del vento che, per le nostre scale, sono infinite, dobbiamo tener conto che le infrastrutture per trarne energia a noi disponibile occupano spazio che, di nuovo, non è infinito.

Il rapporto sui limiti della crescita aveva e ha ragione nelle sue estreme conseguenze. Il fatto che l’Europa metta in atto il Green Deal e la Transizione Ecologica è una presa d’atto dell’impossibilità di crescere per sempre.

Quale è stato l’impatto di quel volume? L’impatto culturale è stato enorme. Ma l’impatto sullo stato delle cose è stato nullo: come se non fosse stato scritto. Uno dei miei detti preferiti è: ‘È inutile avere ragione se non si riesce a farla valere’. Da qui la frustrazione di chi ha capito certe ovvietà, di fronte alla quasi universale negazione dell’ovvio. L’odiosa frase: l’avevamo detto! è di magra consolazione.

Ora celebreremo l’anniversario e ripeteremo quei concetti. Ma intanto stiamo andando in tutt’altra direzione. A seguito della crisi ucraina il prezzo del gas sta salendo alle stelle, e già si parla di tornare al carbone! Come se ne avessimo a bizzeffe. Visto che ci sono i fondi per la transizione ecologica, questa crisi dovrebbe accelerare il passaggio alle rinnovabili: non dobbiamo comprare sole e vento da altri paesi. E potremmo progettare e produrre sistemi di estrazione di energie rinnovabili fabbricati in Italia, in modo da venderli all’estero, invece che delocalizzare i sistemi di produzione. E invece: carbone! E nucleare! Come se l’uranio si trovasse scavando un po’. Capire che non è bene dipendere da altri paesi per l’energia dovrebbe spingerci a diventare indipendenti, e le rinnovabili sono la risposta. E invece proponiamo di passare da una dipendenza a un’altra.

Quando dico queste cose di solito mi sento dire che la faccio facile, che non abbiamo mica la bacchetta magica. Intanto il cambiamento climatico sta mettendo in croce la nostra agricoltura, per non parlare di altri disastri meteorologici. Dobbiamo arrivare al punto di non ritorno per cambiare modello di sviluppo? Ci stanno dicendo che ci siamo arrivati. E qualcuno dice: visto che ci siamo arrivati è inutile premere per la transizione ecologica, continuiamo così. Che poi è il significato delle proposte di ritorno al carbone e al nucleare.

Putin è responsabile di morte e distruzione, ed è un dittatore che uccide i giornalisti e i dissidenti. A fianco dei rinascimento saudita assistiamo ora al rinascimento sovietico! La differenza tra uccidere e far morire è sottile. Chi si ostina a perseguire un modello di sviluppo scellerato, accecato dal totem della crescita economica, incurante della descrescita del capitale naturale, è altrettanto responsabile di morte e distruzione. E non sto giustificando un errore con un altro errore.

Ora abbiamo una contingenza da affrontare, nel brevissimo termine: far cessare la tragedia Ucraina. Ma non dobbiamo dimenticare il medio e il lungo termine. La crescita ha un limite. O ci teniamo sotto quel limite oppure ne pagheremo le conseguenze. Le stiamo già pagando. Se non programmeremo la transizione ecologica in modo serio, il limite sarà imposto dalla natura e diventerà guerre, epidemie, migrazioni di massa, carestie. Sto usando il futuro, ma questi scenari sono già nel nostro presente. Frank Zappa compose una canzone dal titolo “non può succedere qui” ispirato dall’omonimo libro di Sinclair Lewis. Pensiamo sempre che “quelle cose” avvengano altrove, che da noi non possano avvenire. Possono.

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