Clima, riduzione delle emissioni di anidride carbonica lungo la filiera, transizione ecologica. Sono solo alcune delle trentanove parole chiave che compongono le nuove strategie di comunicazione delle compagnie petrolifere. Negli ultimi anni il loro utilizzo è aumentato nettamente: nel 2009 l’europea BP nominava il cambiamento climatico solo 22 volte nel suo report annuale. Nel 2020 le menzioni sono salite invece a 326. Solo raramente però gli impegni verbali si sono trasformati in fatti: nello stesso anno solo il 2,3% degli investimenti del colosso anglo – persiano sono stati green. Lo rivela uno studio pubblicato su Plos One sul Greenwashing. I ricercatori hanno analizzato le attività – tra il 2009 e il 2020 – di quattro delle major del fossile: le europee BP e Shell e le statunitensi Chevron e ExxonMobil, responsabili del 10% delle emissioni globali di gas serra dal 1965 ad oggi e protagoniste – lo scorso ottobre – di un’udienza davanti al Congresso Usa. Sono state escluse dall’analisi altri giganti come Total, ConocoPhillips o l’italiana Eni, per avere un confronto più equo.

La prima azienda a impegnarsi ufficialmente per combattere l’innalzamento delle temperature è stata Shell. Nel 2017 la francese ha infatti dichiarato l’intenzione di abbattere le emissioni in tutti i processi di produzione dell’energia. Bp l’ha seguita nel 2019. Da allora i proclami sulla decarbonizzazione e le ambizioni nel campo del rinnovabile si sono moltiplicati. Dobbiamo “svolgere un ruolo essenziale nel passaggio a un mondo più pulito e a basse emissioni di carbonio” ha affermato nel 2020 il presidente Shell Chad Holliday. Le spese reali però – secondo lo studio di Plos One – sono molto più contenute: Shell aveva infatti promesso di investire almeno l’1% delle spese future all’energia pulita, vale a dire 1 o 2 miliardi di dollari all’anno. Per il 2018 e il 2019 i report sugli investimenti però non sono stati resi pubblici, mentre per il 2020 la cifra si è ridotta a 900 milioni (circa lo 0,2% degli investimenti totali). Bp aveva garantito invece 1,6 miliardi, ma la massima spesa nel 2020 è stata di 750 milioni. La prospettiva di arrivare – come da documenti ufficiali – a 5 miliardi entro il 2030 pare poco realizzabile. Meglio che niente, soprattutto in confronto alle americane: Exxon e Chevron non solo non hanno preso impegni – nemmeno sulla carta -, ma hanno a lungo rifiutato di fornire spiegazioni riguardo alla sostenibilità delle loro attività.

I livelli di greenwashing e apparente consapevolezza del cambiamento climatico quindi sono diversi. Nei documenti ufficiali di Shell le parole “energia a basse emissioni” compaiono 10 volte di più rispetto a dodici anni fa. E il rapporto è ancora più sorprendente se si guarda a termini come “rinnovabile” (da 3 a 91), o “pulito” (da 9 a 82). Bp invece nomina la “transizione ecologica” otto volte di più rispetto al 2019 (da 50 a 418) e l’azienda è passata dall’essere chiamata “compagnia petrolifera” a “compagnia di energia integrata”. Chevron invece ha iniziato a parlare di clima nei suoi rapporti solo dal 2011 – con 45 menzioni in tutto l’arco di tempo – e l’aggettivo “rinnovabili” si legge solo nei glossari, per 19 volte nel 2019. I brevi riepiloghi di ExxonMobil denunciano una cura ancora più scarsa per la tematica ambientale: addirittura la sigla CO2 – che identifica le emissioni – si è vista solo 11 volte nel documento del 2020, mentre gli altri vocaboli della conversione sostenibile sono ancora più rari.

Tutte queste sono operazioni di facciata se confrontate con gli interventi concreti. Per nessuna delle compagnie si registra un calo nell’estrazione di petrolio e gas e nella produzione di energia. Sia le europee che le statunitensi hanno aumentato le riserve. Tutte le major inoltre continuano a fare pressioni sui governi per ostacolare le trattative sul prezzo dei combustibili fossili. Cercano di garantirsi politiche fiscali favorevoli e di indebolire le normative ambientali. Non sono utili poi le scadenze future: gli obiettivi autoimposti per la decarbonizzazione, hanno spinto le compagnie ad aumentare le esplorazioni attuali: Shell ha aumentato la superficie nel suo portafoglio esplorativo a 38 mila Km quadrati nel 2020. Lo studio su Plos One ha infine identificato numerosi casi – comuni anche alle aziende non in analisi – di pubblicità ingannevoli, in cui gas e altri combustibili vengono spacciati come verdi o la scala degli investimenti puliti viene esagerata. “La transizione energetica non sta avvenendo, perché gli investimenti non corrispondono alle parole – concludono i ricercatori – E finché le azioni non seguiranno alle promesse, le accuse di greenwashing sono tutte da considerarsi ben fondate”.

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