di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Ci sono due destre in Italia. La prima che non si vergogna di esserlo, e la seconda che se ne vergogna e si fa chiamare sinistra. Del primo gruppo fanno parte Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. Del secondo Enrico Letta, Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi. Ennio Flaiano diceva che in ogni minoranza intelligente c’è una maggioranza di imbecilli. Perdonatemi se faccio parte di questi ultimi, ma continuo a ritenere che liberismo, con o senza turbo, e sinistra siano un ossimoro e che tra i compiti della sinistra ci sia la difesa della democrazia e degli ultimi e non dei mercati.

Non capisco cosa c’entri Mario Draghi con sinistra e democrazia, eppure Bersani ci spiega in tv, da Floris il 13 u.s., che farebbe gola sia alla destra sia alla sinistra averlo come capo politico. Su questa intercambiabilità, confesso, vacillo. Non capisco neanche Enrico Letta che, come unica proposta politica per le presidenziali, dice che sarebbe felice di avere Sergio Mattarella ancora al Colle e che occorre salvaguardare la figura di Mario Draghi. Mi pareva che la sinistra dovesse salvaguardare ben altri ceti e persone. Insomma, Letta propone il congelamento brezneviano del sistema. Fino a quando? Usque ad mortem et ultra a quanto pare! Visto che, oltre ad affidarsi all’uomo del destino, amato da tutte le cancellerie europee e non, non sembra in grado di formulare alcuna proposta politica e di visione del futuro riducendo tutto a mera “execution” di piani dettati oltralpe. Io mi chiedo invece quale esercito sceglierebbe uno strategòs suggerito dal nemico. Sono il solo a pensare che, ad oggi, l’Europa non sia altro che una continua negoziazione tra divergenti interessi nazionali?

Nella lettera di Draghi al governo Berlusconi del 2011 ci fu un elenco di prescrizioni: dalla precarizzazione del lavoro e la riduzione di diritti e pensioni ai tagli al pubblico impiego, oltre che alla liberalizzazione di monopoli naturali, come l’acqua. Tutte cose notoriamente di sinistra, vero? Misure che ci sono costate miliardi di euro di Pil e milioni di poveri e che ci sono state imposte non certo per l’interesse nazionale.

Sarà per il mio trinariciuto attaccamento ai valori della democrazia che non riesco ad apprezzare il “whatever it takes”? Ha salvato l’euro e le banche, ma il prezzo lo hanno pagato i greci e i poveri dell’Europa del sud. È stato di sicuro protagonista della più cupa pagina della storia europea dal dopoguerra e interprete di una concezione di Europa basata sulla fehde (faida) e sul guidrigildo più che sul rispetto e la fratellanza tra i popoli. Non capisco come la sinistra possa aver accettato, e accettare, quello che fu fatto alla Grecia e come non si interroghi sul significato stesso di democrazia in Europa quando le politiche economiche, invece di essere in capo ai governi, sono in capo a organismi sovranazionali come la Bce o il Mes e non sono frutto di scelte dell’elettorato.

L’appartenenza all’Europa implica cessione di sovranità, ma quello che contesto è che avvenga a favore di istituzioni prive di responsabilità politica e non sottoposte alla giurisdizione di organi elettivi come il Parlamento Europeo. Tradotto, per chi fa finta di non capire: cosa votiamo a fare se la funzione del governo è fare da cinghia di trasmissione di politiche economiche della destra liberista dettate da funzionari della Bce e del Mes?

Quindi l’uomo della provvidenza da mantra della destra più becera diventa faro luminoso della sinistra. Decide tutto lui. Per esempio la legge di bilancio, approvata senza il parere della commissione finanza e senza che i deputati abbiano avuto il tempo di leggerla. Perché avere ancora un parlamento?

A completare il quadro c’è la macchiettistica opera buffa interpretata da Matteo Renzi e l’ossessiva ricerca della salvaguardia del proprio scranno del M5S almeno fino al 2023, e poi chissà? Avendo Draghi dobbiamo votare per forza? Ogni bussola è rotta, è solo per questo che rischiamo di trovarci Berlusconi al Colle.

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