“I principali beneficiari della riforma fiscale sono i lavoratori e pensionati a reddito medio-basso. In termini percentuali i maggiori benefici derivanti dalla riduzione delle aliquote Irpef e del taglio contributi per il 2022 si concentrano sui lavoratori con 15mila euro di reddito e se si considerano gli effetti dell’assegno unico dei figli, a beneficiare della riduzione fiscale saranno soprattutto le famiglie a basso reddito”. Così il presidente del Consiglio Mario Draghi ha risposto alla domanda de ilFattoquotidiano.it nella conferenza stampa di fine anno. Il presidente ha detto che la tesi secondo cui la riforma dell’Irpef premia soprattutto i redditi medio alti è “falsa”. Draghi afferma però diverse cose inesatte.

Come evidenziano gli stessi dati del ministero dell’Economia, pubblicati la settimana scorsa da alcuni quotidiani ma mai presentati ufficialmente dal governo, l’ultima riforma dell’Irpef premia soprattutto i redditi medio-alti mentre lascia poco o nulla a quelli più bassi. Il governo continua però con il suo gioco di prestigio, mischiando gli effetti della riforma Irpef con quelli di altri interventi, alcune transitori come la decontribuzione per i redditi sotto i 35mila euro, altri che non si applicano a tutti come l’assegno unico (che spetterà a 7 milioni di nuclei su un totale di oltre 25 milioni), altri ancora riconducibili a scelte di governi precedenti. Alla fine, mettendo insieme mele con pere e torturando i numeri, si riesce ad ottenere un quadro in cui i benefici miscelati vanno a vantaggio dei redditi più bassi. Ma questo non ha quasi nulla a che vedere con la riforma dell’Irpef vera e propria.

In particolare Draghi menziona la fascia di reddito dei 15mila euro lordi l’anno affermando che qui si concentrano i maggiori vantaggi “in rapporto a quanto si guadagna”. Ma questo vale solo sommando agli effetti del taglio Irpef quelli della decontribuzione, che vale solo per l’anno prossimo. L’Ufficio parlamentare di bilancio, nella sua nota Flash sulla riforma Irpef, mostra al contrario che l’incidenza percentuale dei soli risparmi strutturali (quelli da nuove aliquote e nuove detrazioni) raggiunge il suo massimo pari al 2,1% in corrispondenza dei 42mila euro di imponibile mentre per chi ne guadagna 12mila euro si ferma all’1,5%. L’impatto reale si comprende meglio passando dalla percentuale ai valori assoluti ai più significativi valori assoluti, ossia quanto davvero arriva in busta paga. E’ lo stesso Tesoro a calcolare che per chi ha imponibile di 15mila euro la nuova Irpef vale 336 euro all’anno in più in busta paga. Chi invece guadagna 60mila euro riceve quasi il doppio (570 euro). Per i redditi di 30mila euro lo sconto Irpef si assottiglia a 84 euro. Dai 10mila euro in giù non c’è alcun vantaggio mentre chi guadagna dagli 80mila euro in su risparmia 270 euro.

Per confondere le acque il governo ricorre anche alle cifre sulla distribuzione delle risorse complessive. Ma è ovvio che le fasce di reddito più basse, dove si concentrano la stragrande parte dei contribuenti (il 68% è sotto i 26mila euro), ricevano in valori assoluti maggiori risorse, anche se poi soldi per i (tanti) singoli che ne fanno parte sono pochi. Draghi insiste affermando che i “benefici maggiori in rapporto al reddito” vanno a favore dei redditi medi. Il capo del governo fa poi un esempio: “Una famiglia con due percettori di reddito per un totale di 30mila euro e due figli ha un beneficio (come al solito dall’insieme di tutte le misure e non dalla sola riforma Irpef, ndr) pari al 9% di quanto guadagna”. Anche qui un modo per mimetizzare i valori assoluti. Il vantaggio reale è di 2438 euro (in gran parte grazie all’assegno unico, appena 671 euro dalla sola imposta sui redditi). Draghi dimentica però di dire che una famiglia nelle stesse condizioni ma con un reddito doppio riceve 3.705 euro, una con introiti per 100mila euro ha un beneficio di oltre 5mila euro.

Le simulazioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio smentiscono apertamente la versione della riforma propagandata da Draghi. Dalle tabelle emerge infatti che la fascia in cui incide di più è quella tra i 42 e i 54mila euro di reddito. Come scrive l’Upb: “Il 50% dei nuclei in condizione economica meno favorevole beneficia di circa il 25% delle risorse complessive, mentre il 10% più ricco beneficia di più di un quinto (…) Di fatto, il 20 per cento delle famiglie in condizione economica meno favorevole, che sono già sostanzialmente escluse dall’ambito di applicazione dell’Irpef a causa dell’elevato livello dei redditi minimi imponibili, non sono coinvolte dalla revisione dell’Irpef”. La riforma Irpef, che viene presentata dal governo come “progressiva”, è invece a pieno titolo regressiva.

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