Da circa un mese ormai la priorità assoluta di tutti i giornali e delle televisioni è di indovinare chi concluderà da vincitore la corsa al Quirinale che inizierà tra pochi giorni nel Parlamento. Essendo già l’attuale presidente del Consiglio in carica Mario Draghi in posizione di discreto vantaggio, ma con l’anziano pluri-ex “premier” Berlusconi, in affannosa quanto disperata caccia a quello che lui considera il meritato “premio” alla sua incomparabile “carriera” (accompagnato come sempre da miriadi di cortigiani starnazzanti e beneauguranti alla incipiente vittoria, ma pronti allo sdegno se ciò non accadesse) la disputa mediatica è giunta, ancora una volta, a monopolizzare tutto lo spazio delle prime pagine dei giornali e delle televisioni.

Al di là dei media (e delle possibili ambizioni dei due contendenti), occorrerebbe tuttavia prestare almeno un po’ d’attenzione agli effetti profondi che questo ricambio istituzionale produce. La nomina di un nuovo Capo dello Stato non è una semplice disputa mediatica alla conquista di una posizione di privilegio, è una scelta democratica esercitata da un Parlamento riunito ed allargato ad alcuni esponenti regionali per scegliere chi sarà il prossimo Capo e guida democratica della nostra Nazione, delle nostre Istituzioni e del nostro Popolo.

Ormai è già stato spiegato diverse volte che il nostro Capo dello Stato non ha poteri esecutivi, che competono al governo, e nemmeno legislativi, che competono alle due Camere. Egli però, oltre che Capo dello Stato è anche presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, organo supremo dell’ordinamento giudiziario, e Capo delle Forze Armate. Tutte cariche di grande caratura, per questo motivo occorre che cadano su una persona illustre e stimata da tutti; molto saggia, senza brame di potere e senza ombre nel suo passato.

Purtroppo per lui, di tutto questo Silvio Berlusconi è proprio l’esatto contrario!

Ora, ci spiace per quelli come Sansonetti o Mariateresa Meli che sono infastiditi da quella che loro ritengono una “fobia antiberlusconiana”, ma i democratici autentici preferiscono avere un Capo con i requisiti descritti qui sopra, piuttosto che uno capace di realizzare un impero economico-finanziario-mediatico, ma che pensa soprattutto agli affari suoi. In questa occasione non si sta scegliendo a chi dare il Nobel dell’imprenditorialità (che non esiste), ma si sta esaminando quale persona sarebbe più degna di rappresentare, in Italia e all’estero, tutti gli italiani.

La grande imprenditorialità di Berlusconi è profondamente macchiata da frode fiscale e da altre grosse macchie, come il caso Mondadori, e da una fama globale di “sciupa-femmine” (Bunga-Bunga ecc.) che, specialmente all’estero, in campo pubblico nessuno apprezza. Berlusconi è davvero uno dei più grandi venditori del mondo, e anche nel campo dell’intrattenimento è superlativo, ma la carica a cui ora aspira è lontana anni luce da quello che lui sa fare molto bene, e il prestigio necessario… lui se lo è già giocato malamente molti anni fa.

Discorso molto diverso invece quello per Mario Draghi.

Draghi non è un geniale imprenditore come Berlusconi, ma ha una esperienza lunga tutta una vita in campo economico-finanziario, quindi sembra disegnato apposta per l’incarico che già ora ricopre (come la Yellen negli Usa che, dopo essere stata a capo della Banca Centrale americana è ora alla guida del Tesoro americano). Quindi, da ex banchiere al massimo livello, la posizione in cui già ora si trova sembra fatta proprio su misura per lui, ora che ci sono anche i miliardi del Pnrr da gestire.

Il “modus operandi” di un grande banchiere è molto diverso da quello di un ministro finanziario e ancor più da quello di un grande imprenditore privato. Tutti e tre lavorano nel campo dell’alta finanza e dell’imprenditoria, ma il banchiere è quello col piede sempre pronto al freno sui capitali da spendere, mentre l’imprenditore privato è molto più propenso a rischiare per realizzare l’iniziativa che ha in mente. Il ministro dell’Economia (o, nel nostro caso, il capo del governo) deve stare invece nel mezzo, che è la posizione più difficile da sostenere, perché deve riuscire a spendere tanto ma nel modo più sobrio possibile.

In più ora deve essere capace di spiegarlo con molta pazienza ai vari capi partito che devono approvare le sue decisioni governative e, ancor più in profondità, deve abituarsi ad agire per soddisfare le necessità del popolo, molto più complesse di quelle dei banchieri, come era lui.

Occorre molta pazienza, ma lui ha tutte le doti tecniche per riuscire meglio di chiunque altro.

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