La mattina del 21 gennaio 1793 Luigi Capeto, Luigi XVI, si sveglia all’alba per incontrare il suo confessore. Di lì a poco una carrozza lo attende, per portarlo alla Piazza della Rivoluzione, l’odierna Place de la Concorde, di fronte alle Tuileries, dove il suo popolo, il popolo francese, lo attende. Nella piazza c’è un patibolo e il re, condannato al silenzio, vi è condotto. Rullano i tamburi e, poco dopo, la sua testa cade a terra e, con essa, buona parte della storia della Francia e dell’Europa. Un taglio netto che, al di là del decorrere successivo degli eventi fino alla restaurazione del 1848 e dopo, rappresenterà un punto di non ritorno.

Ma come si arriva al 21 gennaio 1793 e cosa apre tale momento? Tra il 1774 e il 1792 Luigi XVI è Re di Francia e il suo Paese versa in una condizione assai delicata. Si è vicini al tracollo finanziario a causa di lunghe e pesanti guerre e si decide di ricorrere a pericolose manovre finanziarie: concessione di alti tassi d’interesse sui prestiti dei cittadini, indiscriminata vendita di uffici pubblici, alterazioni del valore della moneta, riduzione arbitraria dei debiti dello Stato (bancarotta). Tutto questo mentre i ceti nobiliare e clericale sono esentati da ogni provvedimento fiscale che possa estendere anche a loro il peso tributario. Nelle città, lavoratrici, lavoratori, classe media sono alla fame o in gravi situazioni di deprivazione. Nelle campagne le famiglie contadine sono costrette a versare al clero le decime (cioè una parte dei prodotti dei campi), a pagare imposte e gabelle regie e a fornire prestazioni di lavoro gratuite (le corvée) ai nobili.

A metà del 1788, dietro suggerimento prima dell’arcivescovo Lomenie de Brienne e poi del banchiere svizzero Jacques Necker, Luigi XVI prende la decisione di convocare gli Stati Generali per discutere la situazione del Paese e in tutta la Francia iniziano a tenersi elezioni per i delegati, mentre cominciano a circolare i Cahiers de doléance. L’ultima convocazione degli Stati Generali era stata nel 1614: si trattava di un’assemblea dal potere consultivo, costituita dal ceto nobiliare, dal clero e dal cosiddetto Terzo Stato, che riuniva in sé una variegata composizione sociale essenzialmente borghese.

Il 5 maggio 1789 vengono inaugurati, dunque, gli Stati Generali e inizia la discussione sul sistema di voto: la borghesia propone che il voto non sia dato per ordine (nobili, clero, Terzo Stato) ma per testa, così da sottolineare la loro netta maggioranza all’interno della popolazione. Inoltre, suggeriscono che i lavori non si svolgano in camere separate secondo la divisione in ordini, ma in un’unica assemblea così da affermare la parità sociale dei delegati. Al netto rifiuto di nobili e clero si risponde costituendosi in Assemblea Nazionale. Mentre il Re fa chiudere la Camera delle riunioni, il Terzo Stato si trasferisce in una sala adibita dalla Corte al gioco della pallacorda, giurando di continuare a riunirsi finché la nuova Costituzione non sarà redatta e approvata (Giuramento della Pallacorda). Il 9 luglio il Terzo Stato, alleato a basso clero e nobiltà liberale, ottiene l’unificazione degli Stati Generali nell’Assemblea nazionale costituente, segnando un punto di non ritorno nello scontro col re.

Nel frattempo il clima nel Paese si fa sempre più teso: il costo della vita aumenta, le campagne sono falcidiate dalla carestia e scoppiano diffusi tumulti nelle città. Nelle campagne si incendiano i castelli, mirando agli archivi per dare alle fiamme le carte che sancivano la servitù contadina. Tra luglio e agosto iniziano anche a diffondersi “correnti di panico” tra la popolazione francese, “suggestioni collettive”, voci infondate che inducono a un crescendo rivoluzionario. Dunque, a Parigi si propaga la voce d’un intervento di truppe a sostegno del Re ed esplode la violenza dal basso: il 14 luglio è il giorno della presa della Bastiglia, luogo di detenzione dei prigionieri politici.

La situazione si articola in modo molto complesso e iniziano a prendere forma sempre più definita tanti gruppi politici (i clubs) che, nelle loro affinità e differenze, svelano la composizione variegata degli interessi di classe, delle appartenenze sociali e culturali e delle rivendicazioni politiche del popolo (che non è un unità omogenea) francese.

Si alimentano nel frattempo i timori nelle campagne per una vendetta dei privilegiati e si inizia a credere che i nobili siano pronti ad assoldare brigate di briganti per razziare un territorio afflitto dallo spettro concreto della fame. Mentre i tumulti contro i castelli contribuiscono a diffondere il panico si diffondono le voci, cresce il mito e cresce la paura. Mutando la zona, mutavano pure le rappresentazioni degli assedianti: briganti, piemontesi, inglesi, usseri, mori, polacchi, dragoni che “stavano arrivando” al soldo del privilegio clericale e nobiliare.

Molti fuggono ma molti si armano fino alla notte del 4 agosto, quando la diffusa sollevazione contadina guidata dal Club Bretone pone le premesse per le traduzioni giuridiche formulate dall’Assemblea costituente tra 5 e 11 agosto: viene abolito il sistema feudale e quindi ogni servitù personale, mentre il possesso feudale viene trasformato in proprietà borghese. L’Assemblea dichiara quindi illegittimi vincoli quali ad esempio le corvée, ma vincola tale abolizione all’indennità che i contadini devono pagare ai nobili per le proprietà requisite, comportando la fine della distinzione per ceti verso una distinzione per classi. Nei giorni e nei mesi successivi la situazione resta tormentata ma si avanzano altre conquiste come la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, di chiara matrice illuminista, il 26 agosto.

Verranno poi approvati il sistema monocamerale (cioè senza una Camera Alta da riservare alla nobiltà) e il criterio censuario come condizione per l’esercizio dei diritti politici (solo i cittadini, cioè i maschi con almeno 25 anni di età, che pagano un’imposta diretta pari a tre giornate lavorative, possono votare ed essere eletti).

Luigi XVI rifiuta l’abolizione dei diritti feudali, la suddetta Dichiarazione e la monarchia costituzionale, ma una folla affamata si reca a Versailles per costringerlo ad approvvigionare la capitale, a ratificare le decisioni della Costituente e a trasferire la corte a Parigi. Dopo di che, il 21 giugno 1791, il Re decide di fuggire nella convinzione di un deflagrare rivoluzionario. Luigi XVI spera nell’autoannientamento assembleare attorno a diversi nodi politici conflittuali, tra cui quello della scelta tra monarchia e repubblica. Il disegno consiste nel raggiungere la piazzaforte monarchica di Montmédy da dove il sovrano avrebbe potuto guidare la controrivoluzione. Tuttavia, dopo un giorno di viaggio, arrivati a Varennes, un mastro di stazione riesce a smascherare la vera identità del sovrano e le incredule autorità locali prima decidono di far alloggiare la famiglia reale in una locanda ma, poi, avvertono alcuni delegati dell’Assemblea nazionale che prendono in consegna i fuggiaschi e li riconducono a Parigi.

È da quel momento che crolla definitivamente il prestigio della monarchia e il Re viene temporaneamente sospeso dalle sue funzioni. Per quanto reintegrato già poche settimane dopo, i continui veti alle proposte assembleari da un lato inducono sempre più feroci sollevazioni popolari; dall’altro portano all’esasperazione fino all’arresto della famiglia reale: il 21 settembre 1791 viene sancita la fine della monarchia in Francia.

Cosa fare allora dell’ex sovrano e ora cittadino Luigi Capeto? La discussione sulla sorte di Luigi XVI è ardua e comincia il 13 novembre 1792: i girondini, i più moderati, affermano che si tratta di un processo illegale perché, secondo la Costituzione del 1791, ancora in vigore, il Re è inviolabile. Questa posizione, tuttavia, subisce un duro contraccolpo quando il 20 novembre viene scoperto in una parete del palazzo reale un armadio segreto (l’armoire de fer) che nascondeva documenti riservati e corrispondenze compromettenti: le carte dimostrano i rapporti tenuti da Luigi XVI con vari deputati e agitatori, tra cui moltissimi girondini corrotti. A quel punto non può che affermarsi il via libera al processo che inizia l’11 dicembre 1792.

L’imputato viene giudicato colpevole ma ci si divide sulla pena da infliggergli. Il 20 gennaio 1793, nello scrutinio decisivo, l’ex sovrano viene condannato a morte e, in quello stesso anno nella repubblica francese (proclamata nell’aprile dell’anno precedente) e per la prima volta in Europa s’introduce il principio del suffragio universale, sopprimendo la discriminazione censitaria dei cittadini in attivi e passivi, e si attribuisce il diritto di voto (segreto e diretto) a tutti i francesi maschi maggiorenni. Ciononostante, si stavano aprendo scenari drammatici, sia per la Francia sia per l’Europa, aggravati dal peso delle guerre rivoluzionarie, che dal 1792 al 1802 videro in conflitto la Francia contro gran parte delle potenze europee, decise a frenare l’espansionismo ideologico e territoriale francese e a restaurare l’Antico regime.

Tuttavia, e pur considerando le delicate fasi successive – dalla dittatura rivoluzionaria all’era napoleonica e fino alla restaurazione – la Rivoluzione francese si era dimostrata una impareggiabile palestra politica e molte delle conquiste ottenute fin lì, per quanto successivamente erose, sarebbero diventate un nuovo patrimonio collettivo in termini di possibilità di rivendicazione politica. Alla costruzione sociale e giuridica della società feudale non si sarebbe tornati e la borghesia, ormai, si era affermata nello spazio politico oltre che economico mentre, con la testa del re, era caduta l’intoccabilità della Corona e delle altre in Europa.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Successivo

Il meglio e il peggio: Draghi per Palazzo Chigi, Berlusconi per il Colle

next